Partito democratico, adesso un'italia nuova
Rassegna stampa pubblicato in AREA RASSEGNA STAMPA su www.partitodemocratico.itil 29 agosto 2008
Leonardo Domenici: «Con noi si fa la nuova classe dirigente Pd»
«Gli amministratori locali sono uno strumento fondamentale per ricostruire una classe dirigente capace di dare risposte al Paese», dice Leonardo Domenici. «Il Pd deve stare attento a non acquisire i difetti mostrati in questi anni dalla politica nazionale».Che, spiega il sindaco di Firenze, sono «la debolezza e la tendenza a vedere antagonismo e rivalità, anziché collaborazione, in quanti governano i territori».
Chiamparino accusato dagli esponenti del Pd torinese di avere modi autoritari, Cofferati tacciato di avere un brutto carattere: sono problemi personali quelli emersi quest'estate oppure, come dice lo stesso sindaco di Bologna, si tratta di problemi politici che vanno affrontati?
«Per una riflessione che vada un po' in profondità bisogna partire da un po' più lontano e ricordare che nel nostro Paese il primo grande elemento di novità politica e istituzionale fu rappresentata nel '93 dalla legge per l'elezione diretta dei sindaci. I cittadini hanno mostrato di gradire molto quella riforma elettorale e credo che nessuno abbia nostalgia dei sindaci o dei consigli comunali che duravano tre o quattro mesi. Quindi è chiaro che oggi i sindaci hanno maggiori responsabilità e maggiori poteri. Contemporaneamente, nel corso di questi ultimi anni c'è stata una sorta di ricentralizzazione della vita politica nazionale».
Che cosa intende?
«C'è stato un tale indebolimento della politica a livello nazionale che in alcuni momenti si è teso a scaricare sui livelli locali e sui territori la propria crisi e le proprie difficoltà. Pensiamo alla campagna fatta sui costi della politica, sulle amministrazioni sprecone, dissipatrici delle risorse pubbliche. È stato uno dei momenti più infelici e più bassi nel rapporto tra livello nazionale e realtà locali».
Pure falsità?
«Basta guardare i dati Istat per vedere che l'ultima performance dei conti pubblici del 2007 vede i comuni a + 325 milioni di euro».
E lei come se la spiega allora quella campagna?
«C’è una sorta di meccanismo unico che mette insieme politica, poteri economici e finanziari, mondo dei media, altri apparati dello Stato, che si autoalimenta e autoconserva e che tende ad escludere o a fare entrare solo parzialmente altre realtà, come possono essere i livelli di governo locale.
Il Pd, in tutto questo?
«Il Pd deve decidere se la politica deve vivere soltanto in una logica verticistica e centralizzata oppure se deve tornare a basarsi su un rapporto forte con i territori».
Il caso di Torino come lo giudica?
«Emblematico. In fin dei conti tutto è partito da una polemica sulla città metropolitana, sul fatto che Sergio Chiamparino sostiene un certo punto di vista, che io condivido, e c'è stato un parlamentare del Pd che si è invece detto pronto a presentare una proposta di legge perché Torino non stia più nel novero delle città metropolitane.Il punto è: i parlamentari, con una legge elettorale per cui bastava occupare un posto in lista per essere eletti, in che rapporto stanno col territorio? Diventa più importante il rapporto con i sindaci del territorio o con il segretario politico, o peggio ancora con il capo componente che ha garantito quel posto in lista? Questo è un problema che esiste in generale per la politica nazionale e che va posto anche per il Pd».
Come va affrontato, secondo lei?
«Io sono assolutamente contrario sia al partito dei sindaci sia a esasperare il conflitto tra territorio e centro. La scelta giusta non è quella di creare una rivalità o una alterità. Bisogna assorbire nella direzione politica nazionale esperienze di governo locale che sono state e sono importanti. Quindi prima di tutto il problema è aprire».
Secondo lei andare a congresso in tempi rapidi, magari prima delle europee, può contribuire a risolvere il problema di cui parlava?
«La necessità che io vedo è quella di offrire sia a livello nazionale che locale delle sedi vere di confronto e di dibattito, per prendere delle decisioni e poi portarle avanti con coerenza. Siamo a settembre, non so se sia conveniente montare adesso un congresso in fretta e furia, tenendo conto che nel 2009 non abbiamo solo le europee ma andranno al voto 4400 comuni. Insomma, mi sembra che abbiamo già parecchio da fare».
Il voto amministrativo presuppone una discussione sulle alleanze. Come deve muoversi il Pd secondo lei?
«Io nel '99 e nel 2004 ho fatto una scelta precisa, quella cioè di costruire una coalizione in cui non fosse presente Rifondazione comunista. E per questo ho accettato di pagare dei prezzi, perché sono dovuto andare al ballottaggio. Si possono avere anche coalizioni articolate, certo.Però l'importante è che i cittadini sappiano che su determinate questioni non si fanno compromessi lessicali ma scelte chiare, precise. L'altro presupposto fondamentale è che siano le realtà locali a decidere, perché non può esistere un orientamento unico che poi viene calato dall'alto sulle singole realtà. Il problema è cercare di avere buoni candidati, fare le primarie, scegliere bene anche dove non si fanno le primarie e poi soprattutto correre per vincere ma anche per garantire un governo delle città stabile».
Parlava di primarie e candidature. A Firenze la discussione è piuttosto accesa…
«Quel che è certo è che in una città in cui alle politiche il Pd ha preso quasi il 49% è difficile pensare che non sia questo partito a esprimere il candidato di una coalizione di centrosinistra. Sì, fare le primarie, ma spetta al Pd l'onere e l'onore di indicare un candidato».
Visto quello che dicevamo prima: al Pd nazionale o a quello locale?
«Penso che prima di tutto sia a livello locale che bisogna avanzare delle proposte. Poi, è chiaro che questo è un discorso che non va fatto in contrapposizione tra i diversi livelli. E poi ci sono precise regole di cui tener conto. Diventa essenziale stabilire il processo, i percorsi, attraverso cui il Pd arriva all'individuazione dei propri candidati.
Alcuni amministratori locali del Pd non firmeranno la petizione Salva l'Italia: lei che farà?
«La firmo, perché un conto è quello che si fa con il nostro ruolo istituzionale, io di sindaco e anche di presidente dell'Anci, e un conto sono le proprie convinzioni e i propri punti di vista politici».
Come presidente dell'Anci, condivide il timore della Cgia di Mestre, secondo la quale con il federalismo fiscale prospettato nella bozza Calderoli i comuni del sud rischiano il collasso?
«Intanto, i comuni italiani sono a rischio collasso se non ci mettiamo d'accordo sulla quantità del rimborso per il mancato gettito Ici sulla prima casa che dobbiamo avere entro la fine di quest'anno. Il collasso dei comuni rischia cioè di essere una cosa molto più attuale».
E del federalismo fiscale che dice? Non è che i comuni chiederanno di reintrodurla, l'Ici?
«Non vogliamo reintrodurre l'Ici, però abbiamo avviato un confronto per superare l'attuale situazione e prevedere un nuovo tributo».
Del tipo?
«Un tributo federale sugli immobili, che possa portare sotto la responsabilità dei comuni pressoché l'intera imposizione immobiliare che oggi c'è nel nostro Paese, che non riguarda soltanto l'Ici. Ci sono molte imposte che vanno direttamente allo Stato e quindi è fondamentale una riforma di questo tipo che individui un nuovo tributo che dia autonomia e responsabilità ai comuni.
Dai primi contatti con Calderoli cosa emerge?
«Su questo punto c'è stata un'apertura da parte del ministro. A settembre bisogna entrare nel merito».
Articolo estratto dall'Unità del 29/08/2008
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venerdì 29 agosto 2008
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