mercoledì 31 dicembre 2008

IL MESSAGGIO DI NAPOLITANO AGLI ITALIANI

Il testo integrale
Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica
Gli auguri agli italiani
Questa vigilia del nuovo anno è dominata, nell’animo di ciascuno di noi, dallo sgomento per le notizie e le immagini che ci giungono dal cuore del Medio Oriente. Si è riaccesa in quella terra una tragica spirale di violenza e di guerra. Una spirale che va fermata. Lo chiedono l’Italia, l’Unione Europea, le Nazioni Unite, il Pontefice: sentiamo oggi, mentre vi parlo, che questo è il nostro primo dovere, riaprire la strada della pace in una regione tormentata da così lungo tempo. Parto di qui per rivolgere il mio tradizionale messaggio di auguri a voi tutti, italiani di ogni generazione e di ogni condizione sociale, residenti nel nostro paese e all’estero – ai servitori dello Stato, ai civili ed ai religiosi operanti per il bene della comunità, alle forze dell’ordine e alle Forze Armate, e con speciale calore e riconoscenza ai nostri militari impegnati in missioni difficili e rischiose per garantire la pace e sradicare il terrorismo nelle regioni più critiche.
Nel rivolgervi questo augurio, non ignoro la forte preoccupazione che ci accomuna nel guardare all’anno che sta per iniziare. Un anno che si preannuncia più difficile, e che ci impegna a prove più ardue, rispetto alle esperienze vissute da molto tempo a questa parte. Nel corso del 2008 è scoppiata negli Stati Uniti d’America una sconvolgente crisi finanziaria, che ha investito molti altri paesi, anche in Europa, e che sta colpendo l’intera economia mondiale. Dobbiamo guardare in faccia ai pericoli cui è esposta la società italiana, senza sottovalutarne la gravità : ma senza lasciarcene impaurire. L’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa. Vorrei in sostanza parlare questa sera con voi il linguaggio della verità, che non induce al pessimismo ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza. Sono convinto che possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali della crisi mondiale per l’Italia, e creare anzi le premesse di un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo. A condizione che non esitiamo ad affrontare decisamente le debolezze del nostro sistema, le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da troppo tempo.
Facciamo della crisi un’occasione per liberarcene, guardando innanzitutto all’assetto delle nostre istituzioni, al modo di essere della pubblica amministrazione, al modo di operare dell’amministrazione della giustizia. C’è ragione di essere seriamente preoccupati per l’occupazione, per le condizioni di chi lavora e di chi cerca lavoro, e per le famiglie più bisognose. E c’è da esserne preoccupati in special modo guardando al Mezzogiorno, che non ha fatto i passi avanti necessari e rischia di essere più di altre parti del paese colpito dalla crisi, se non vi si dedica l’impegno che ho di recente sollecitato con forza. L’occupazione in Italia è, da diversi anni, cresciuta. Ma ora è a rischio. Mi sento perciò vicino ai lavoratori che temono per la sorte delle loro aziende e che potranno tutt’al più contare sulla Cassa Integrazione, così come ai giovani precari che vedono con allarme avvicinarsi la scadenza dei loro contratti, temendo di restare privi di ogni tutela. Parti sociali, governo e Parlamento dovranno farsi carico di questa drammatica urgenza, con misure efficaci, ispirate a equità e solidarietà.
Mi sento, egualmente, vicino alle famiglie, specie a quelle numerose, o che comunque fanno affidamento su un solo reddito, sulle quali pesa la difficoltà per le donne di trovare lavoro, e che non hanno abbastanza per soddisfare bisogni fondamentali : e quelli che ne soffrono di più sono i bambini. Hanno fatto scalpore nei giorni scorsi le statistiche ufficiali sulla povertà in Italia : ed è parola che esitiamo a pronunciare, è realtà non semplice da definire e da misurare. Sono comunque troppe le persone e le famiglie che stanno male, e bisogna evitare che l’anno prossimo siano ancora di più o stiano ancora peggio. Dalla crisi deve, e può, uscire un’Italia più giusta. Facciamo della crisi un’occasione per impegnarci a ridurre le sempre più acute disparità che si sono determinate nei redditi e nelle condizioni di vita ; per riformare un sistema di protezione sociale squilibrato e carente ; per elevare, a favore dei figli delle famiglie più modeste, le possibilità di istruzione fin dai primi anni e di ascesa nella scala sociale. Ci sono stati in questi mesi dibattito e confronto in Europa e in Italia sui temi del clima e dell’energia, sui temi dell’innovazione necessaria e possibile.
Lo sforzo che in questo momento va compiuto per sostenere le imprese – grandi, medie e piccole – che sono in difficoltà pur essendosi mostrate capaci di ristrutturarsi e di competere, non può essere separato dall’impegno a promuovere indirizzi nuovi per lo sviluppo futuro dell’attività produttiva in Italia. Vanno in particolare colte le opportunità offerte dalle tecnologie più avanzate per l’energia e per l’ambiente. Facciamo della crisi l’occasione per rinnovare la nostra economia, e insieme con essa anche stili di vita diffusi, poco sensibili a valori di sobrietà e lungimiranza. Ho, nel corso di quest’anno, levato più volte la mia voce per sollecitare attenzione verso le esigenze del sistema formativo, del mondo della ricerca, e delle Università che ne rappresentano un presidio fondamentale. E’ indispensabile, per il nostro futuro, un forte impegno in questa direzione, operando le scelte di razionalizzazione e di riforma che s’impongono sia per ottenere risultati di qualità sia per impiegare in modo produttivo le risorse pubbliche. A ciò deve tendere un confronto aperto e costruttivo, al quale può venire un valido apporto anche dalle rappresentanze studentesche, come ho avuto modo di constatare in diverse città universitarie, da Roma a Milano a Padova. Facciamo della crisi un’occasione perché l’Italia cresca come società basata sulla conoscenza, sulla piena valorizzazione del nostro patrimonio culturale e del nostro capitale umano.
Spero di aver dato, almeno per qualche aspetto, il senso dell’atteggiamento da tenere dinanzi alla pesante crisi che si farà sentire anche in Italia nell’anno che ora inizia. Non spetta a me indicare quali decisioni vadano prese in via immediata. Il governo è intervenuto innanzitutto per porre il nostro sistema bancario, che pure è apparso meno esposto, al riparo da rischi gravi, e si sta confrontando con ulteriori esigenze di intervento, sul versante economico e sul versante sociale. In seno al Parlamento – la cui capacità di giudizio e di proposta resta fondamentale nel nostro sistema democratico – tocca a ognuno fare la sua parte, in un clima di reciproco ascolto e senza pregiudiziali chiusure. Nel far fronte alla crisi, l’Italia non agisce da sola. Agisce come parte di quella Europa unita che si conferma come non mai un punto di riferimento essenziale : e siamo orgogliosi di avere concorso con tenacia e coerenza a costruirla. Tuttavia, l’Italia è condizionata nelle sue scelte dal peso dell’ingente debito pubblico accumulato nel passato, e nessuno può dimenticarsene nell’affrontare qualsiasi problema. Dobbiamo considerare la crisi come grande prova e occasione per aprire al paese nuove prospettive di sviluppo, ristabilendo trasparenza e rigore nell’uso del danaro pubblico. E’ una grande prova e occasione non solo per l’Italia.
La portata della crisi è tale da richiedere imperiosamente il massimo sforzo di concertazione tra i protagonisti dell’economia mondiale, per definire nuove regole capaci di assicurare uno sviluppo sostenibile, ponendo fine alla frenesia finanziaria che ha provocato stravolgimenti e conseguenze così gravi. Il mondo in cui viviamo è uno, e come tale va governato. Per l’Italia, la prova più alta – in cui si riassumono tutte le altre – è quella della nostra capacità di unire le forze, di ritrovare quel senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere. Ci riuscimmo quando dovemmo fare i conti con la terribile eredità della seconda guerra mondiale : potemmo così ricostruire il paese, far rinascere la democrazia, stipulare concordemente quel patto costituzionale che è ancora vivo e operante sessant’anni dopo, creare le condizioni di quella lunga stagione di sviluppo economico e civile che ha trasformato l’Italia. E ci riuscimmo ancora quando più tardi sconfiggemmo il terrorismo. Dobbiamo riuscirci anche ora, a partire dall’anno carico di incognite che ci attende. Ed è una prova non solo per le forze politiche, anche se è essenziale che queste escano da una logica di scontro sempre più sterile. Esse possono guadagnare fiducia solo mostrandosi aperte all’esigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume, ispirato davvero e solo all’interesse pubblico.
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E’ una crisi senza precedenti come quella attuale che chiama ormai a un serio sforzo di corresponsabilità tra maggioranza e opposizione in Parlamento, per giungere alle riforme che già sono all’ordine del giorno e che vanno condivise. Tutto ciò è importante e tuttavia non basta. Sono chiamate alla prova tutte le componenti della nostra società, l’insieme dei cittadini che ne animano il movimento, in una parola l’intera collettività nazionale. Questo è lecito attendersi dalle generazioni che oggi ne costituiscono la spina dorsale : un’autentica reazione vitale come negli anni più critici per il paese. Lo spirito del mio messaggio – italiane e italiani – corrisponde alla missione che i padri della Costituzione vollero affidare al Presidente della Repubblica : unire gli italiani, tenendosi fuori dalla competizione tra le opposte parti politiche, rappresentando, col massimo scrupolo d’imparzialità e indipendenza, i valori in cui possono riconoscersi tutti i cittadini. I valori costituzionali, nella loro essenza ideale e morale. Il valore, sopra ogni altro, dell’unità nazionale. I valori della libertà, dell’uguaglianza di diritti, della solidarietà in tutte le necessarie forme ed espressioni, del rispetto dei ruoli e delle garanzie che regolano la vita delle istituzioni. Sento che questo è il mio dovere, questa è la mia responsabilità. E vi ringrazio per le manifestazioni di simpatia e di fiducia, per gli schietti e significativi messaggi che mi giungono da tanti di voi : mi confortano e mi spronano. A voi che mi ascoltate, a tutti gli italiani, a tutti coloro che venendo da lontano operano in Italia nel rispetto delle regole e meritano il pieno rispetto dei loro diritti, un augurio più che mai caloroso e forte per l’anno che nasce. Per difficile che possa essere, lo vivremo con animo solidale, fermo, fiducioso.
31 dicembre 2008

AVVISO AI NAVIGANTI

AREA RASSEGNA STAMPA - Rassegna stampa
Avviso ai governanti
fonte Tito Boeri - La Repubblica Fino a un anno fa il Fondo monetario internazionale sembrava un´istituzione senza futuro. I maggiori debiti contratti negli anni precedenti dai governi (soprattutto da Argentina e Brasile) erano stati ripagati e molti paesi emergenti detenevano una quantità di riserve in valuta estera tale da rendere assai improbabile il loro ricorso a un prestatore di ultima istanza come il Fondo. In molti, dunque, non solo in Italia, decretavano la crescente irrilevanza del Fondo. La crisi globale ha riportato il Fondo al centro della scena. Ha concesso negli ultimi mesi prestiti per 40 miliardi di dollari, ha appena concluso un accordo con la Lettonia e sta negoziando consistenti prestiti a Bielorussia, El Salvador, Serbia e Turchia. Altri paesi emergenti hanno chiesto aiuto, al punto che ora sono in molti a chiedersi se il Fondo avrà risorse sufficienti per fronteggiare la crisi. Soprattutto l´istituzione nata dagli accordi di Bretton Woods si candida a svolgere il ruolo di organizzazione che fornisce assistenza tecnica al G20, coordinando gli sforzi condotti per ridurre l´entità e la durata della crisi nelle più grandi economie del mondo. La dichiarazione finale dei leader del G20 con cui si è chiuso il vertice di Washington di metà novembre demandava proprio al Fondo il compito di: "assumere un ruolo guida negli insegnamenti da trarre da questa crisi" e di "esercitare una stretta e imparziale vigilanza su tutti i paesi". È un´investitura che riconosce come il Fondo, avendo assistito i governi che hanno fronteggiato le più gravi crisi economiche nel Dopoguerra, ha il capitale umano per svolgere questo ruolo guida. È un capitale umano, purtroppo, poco valorizzato in una istituzione che è ancora troppo dipendente dal G7, che ha un board of directors non all´altezza e che sta faticosamente avviando un processo di profonda ristrutturazione al suo interno. Ieri il Fondo ha comunque mandato un messaggio forte e chiaro. Lo ha affidato ad una nota, strumento inusuale, per guadagnare tempo prezioso rispetto alle sue pubblicazioni ufficiali (gli aggiornamenti del World Economic Outlook che usciranno solo a fine gennaio). E anche il messaggio è tutt´altro che rituale per il Fondo. Chiede, infatti, ai governi del G20 di spendere molto di più in modo coordinato (per pudore si usa il termine "collettivo" più che coordinato, forse per tema di irretire i singoli governi). La ragione è che siamo di fronte a una riduzione senza precedenti della domanda mondiale e che i margini per politiche monetarie espansive sono molto ridotti. Il Fondo ritiene che i governi del G20 debbano perciò varare misure espansive che valgano almeno il 2 per cento del prodotto interno lordo del pianeta. Se questo sforzo fosse equamente ripartito, si tratterebbe del 2 per cento del pil di ogni paese, dato che il G20 raccoglie circa il 90 per cento del pil mondiale.Ma il Fondo chiede uno sforzo maggiore ai paesi, come gli Stati Uniti, in cui la pressione fiscale e la spesa sociale sono più basse perché in questi paesi operano di meno i cosiddetti "stabilizzatori automatici", quelle riduzioni di entrate e aumenti di spesa che intervengono indipendentemente dall´adozione di nuove misure, ad esempio perché aumenta la disoccupazione e si spende di più per gli ammortizzatori sociali. Anche se la nota del Fondo non lo dice, per raggiungere l´obiettivo del 2 per cento del pil mondiale basterebbe che l´Unione Europea rispettasse l´impegno a destinare l´1,5 per cento del proprio pil a pacchetti fiscali espansivi, come proposto dalla Commissione Europea.Il problema è che siamo molto al di sotto dal raggiungere questo obiettivo, soprattutto perché la più grande economia dell´Unione, la Germania, ha sin qui varato misure che non valgono più dello 0,2-0,3 per cento del suo prodotto interno lordo. Se c´è un governo che viene di fatto (la nota volutamente non fa mai nomi di singoli paesi) messo sul banco degli imputati dalla nota del Fondo, questo è l´esecutivo guidato da Angela Merkel.A paesi come l´Italia viene chiesto uno sforzo minore, in considerazione del livello del nostro debito pubblico. Ma il contributo non può certo essere negativo, come previsto della manovra di contrazione fiscale (con entrate che crescono più delle spese, come certificato dalla Commissione Bilancio della Camera) varata a fine novembre.Le implicazioni più rilevanti per il nostro paese riguardano soprattutto la qualità degli interventi. Devono essere, oltre che consistenti, "tempestivi, duraturi, sostenibili e contingenti", il che significa che non ci deve affidare a misure estemporanee e si deve lasciar intendere che si interverrà ancora, se necessario, nel caso in cui la crisi peggiorasse.È un impegno che deve essere credibile per migliorare le aspettative di famiglie e imprese, che oggi volgono al peggio come certificato proprio ieri dall´Isae. Utile sottolineare che la parte più consistente delle misure anticrisi varate dal nostro esecutivo (il bonus famiglia, la social card e i fondi in deroga per la cassa integrazione) sono per definizione una tantum. La nota del Fondo valuta anche pro e contro di misure specifiche, suffragata dall´esame di cinque grandi crisi, la Grande Depressione del 1929, la crisi dei risparmi e dei prestiti degli anni ´80 negli Stati Uniti, la grande crisi dei paesi Nordici (Finlandia, Norvegia e Svezia) degli anni 1990-94, la crisi bancaria giapponese del 1997 e, infine, la crisi di bilancia dei pagamenti della Corea intervenuta sempre nel 1997.Il principale suggerimento è quello di puntare su trasferimenti diretti alle famiglie che hanno vincoli di liquidità, come ad esempio sussidi dati a chi perde il lavoro. Questo tipo di trasferimenti, infatti, ha maggiori probabilità di tradursi in consumi aggiuntivi piuttosto che risparmi a scopo precauzionale. Si bocciano, invece, senza mezzi termini, gli interventi generalizzati a sostegno di specifici settori industriali, come pure le misure poco trasparenti di detassazione dei profitti, ad esempio attraverso un ammortamento accelerato degli investimenti.Il nostro Governo farebbe molto bene non solo ad ascoltare il messaggio del Fondo, ma anche a valorizzarlo presso gli altri leader del G20. Abbiamo tutto da guadagnarci dalla sua attuazione.

venerdì 26 dicembre 2008

ISTAT: LA CRISI SI FA SENTIRE, DISOCCUPAZIONE al 6,1%

PRIMO PIANO - Articolo
La crisi si fa sentire, disoccupazione al 6,1%
Istat: la disoccupazione è in aumento, mentre rallenta il ritmo di crescita dell'occupazione. Nuovo scenario negativo per l'economia italiana. Dati preoccupanti arrivano dall'Istat: la disoccupazione è in aumento, mentre rallenta il ritmo di crescita dell'occupazione. L'istituto parla di un tasso di disoccupazione pari al 6,1%, lo 0,5 di più rispetto all'anno 2007. Nel terzo trimestre 2008 il numero delle persone in cerca di lavoro si è innalzato, portandosi a 1.527.000 unità, 127.000 unità in più (+9%) rispetto allo stesso periodo del 2007. Causa principale di tale incremento è, secondo l'Istat, la crescita degli ex-occupati nel nord e nel centro e degli ex-inattivi nel Mezzogiorno.Cattive notizie anche per il tasso di occupazione, che vede rallentata la sua crescita. Sempre nel corso dello stesso trimestre, infatti, risulta pari a 23.518.000 unità, con un aumento su base annua pari al solo 0,4% (+101.000 unità). Inoltre, come emerge dall'analisi, l'incremento è tutto dovuto all'innesto della popolazione straniera registrata in anagrafe. Il tasso di occupazione della popolazione fra i 15 e i 64 anni è diminuito di un decimo di punto rispetto al terzo trimestre del 2007, portandosi al 59%.L'occupazione maschile è in calo, -0,2% (- 27.000 unità) rispetto allo stesso trimestre dell'anno scorso: un vero shock nel campo dell'occupazione maschile, che non registrava cali fin dal 1997. Sale, invece, l'occupazione femminile, con un incremento pari a 127.000 (+1,4%) rispetto allo stesso periodo del 2007. segno positivo per l'occupazione straniera che è cresciuta nell'ultimo anno di 285.000 unità (152.000 uomini e 133.000 donne).Con riferimento ai singoli settori, l'agricoltura registra un calo di occupati del 3,1% (-29.000 unità), riguardante sia il lavoro autonomo che quello dipendente, sia il nord che il sud. Anche l'industria ha chiuso in passivo, accusando un calo di occupazione pari all'1,0 % (- 53.000 unità), relativamente al solo lavoro dipendente. Unico settore a reagire positivamente è il terziario con un incremento di 149.000 unità pari all'1,0%.Proprio in merito ai problemi di occupazione, con un'attenzione particolare per il mondo femminile, si è pronunciata, nei giorni passati, Vittoria Franco, Ministro delle Pari opportunità nel governo ombra del PD. In occasione della sua lettera aperta al ministro Brunetta, in risposta alla proposta dell'innalzamento dell'età pensionabile femminile, portava ala sua attenzione le maggiori difficoltà incontrate dalla popolazione femminile in campo lavorativo: “La maternità è ancora un ostacolo all’accesso al mercato del lavoro, alla carriera e alla realizzazione delle donne in un lavoro gratificante. Le donne oggi sono più istruite, ma più povere e più precarie degli uomini. Per le donne laureate il differenziale salariale può arrivare anche al 25% in meno. Mentre gli uomini laureati sono quasi tutti occupati, le colleghe donne lo sono per il 70% circa. Il livello di occupazione femminile al Sud è intorno al 31%. Lì le donne addirittura rinunciano a iscriversi nelle liste di collocamento perché disperano di trovare un’occupazione. Ma quelle stesse donne inattive rinunciano anche a fare figli, perché il futuro della coppia e della famiglia è più incerto. Una donna su cinque è costretta a lasciare il posto di lavoro quando nasce il primo figlio e difficilmente riesce a rientrare nel mercato del lavoro. Il tempo dedicato alla cura da una donna che lavora ammonta mediamente a quattro ore e 20 minuti al giorno, mentre gli uomini ne sono pressoché esonerati: poco più di un’ora”. La chiude la lettera con una sfida: “Va benissimo l’idea di investire i risparmi realizzati con l’equiparazione dell’età pensionabile nella creazione di servizi che garantiscano reali pari opportunità, ma – come ognuno può vedere dai dati – la situazione è talmente drammatica che qualche spicciolo risparmiato sulla Pubblica Amministrazione è ben lungi dall’essere sufficiente anche solo per partire. Ci dia qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e per non pensare che questo Governo voglia di nuovo intrappolare le donne in una ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi degli uomini”.

mercoledì 24 dicembre 2008

D'ALEMA: CON IL GOVERNO CONFRONTO E SFIDA

DIREZIONE, D'Alema: "Con il governo confronto e sfida"
Questa riunione riavvia il PD. Rilancia la sfida nei confronti del governo. C'è bisogno ritornare al nostro profilo, al nostro progetto. La destra, che conta molte più vicende giudiziarie, non si pone la questione morale. Dobbiamo essre una grande forza riformista. Dobbiamo trovare un equilibrio tra il confronto e la sfida con il governo. abbiamo bisogno di un partito vero, fatto di uomini e donne che condividano valori e che abbiano il vincolo formale della tessera. Usiamo le primarie anche per interrogare i cittadini sulle questioni importanti. C'è la necessità di costituire in europa una grande coalizione di centro-sinistra, con il PSE ma senza entrare a farne parte. Fondiamoci su innovazione e autorevolezza.

D'ALEMA:UN PARTITO VERO PER RIAVVIARE IL PD

D'Alema: Un partito vero per riavviare il Pd
«La reazione all’emergere di concezioni della politica assai discutibili non può essere affidata alle procure della Repubblica - spiega Massimo D'Alema in un'intervista all'Unità - e l’unico rimedio, qui, è avere un partito vero. Acceleriamo il rinnovamento, comunque. E cerchiamo di mettere i giovani che hanno delle idee innovative in condizione di poter giocare la loro partita. Ma non usiamo questo tema strumentalmente» di Ninni Andriolo

LA DERIVA DELL'ONNIPOTENZA

2008 PRIMO PIANO - Articolo
La deriva dell'onnipotenza
Dalla conferenza stampa di fine anno si scopre che Berlusconi governa il mondo e i cittadini risolveranno da soli la crisi Un nuovo deliro di onnipotenza. Tutto va bene, tutto è migliore di prima. Abbiamo fatto questo, fatto quest'altro e continuiamo a promettere di fare altro ancora. Insomma il solito Berlusconi che davanti le telecamere ed evitando ogni confronto possibile, dà il resoconto di fine anno di quanto sia stato bravo e di quanto lo sarà anche il prossimo anno. Un copione sbagliato, trito che ormai non incanta più nessuno ma che evidenzia gli ultimi colpi a salve del declino del berlusconismo. La novità 2008 è stata la sparata sulla riforma per il presidenzialismo che ha subito scatenato una valanga di commenti negativi, chiusi dalle dichiarazioni di Walter Veltroni per il quale il governo parla d'altro per non occuparsi della grave crisi economicaNei 46 minuti del suo discorso, Berlusconi ha elencato tutte le manovre compiute e poi promesso nuove riforme come quella della giustizia, alla ripresa dei lavori parlamentari e con il prossimo Cdm, più la riforma degli ammortizzatori sociali. Ma non solo. Il ritorno al nucleare e il riavvio delle grandi opere. E soprattutto ottimismo, tanto ottimismo, come la cura per risolvere ogni male. Del resto, la colpa della crisi a suo giudizio è dell'opposizione e dei giornalisti perché sono troppo pessimisti.Il colpo di scena questa volta è la promessa della riforma dell'interno ordinamento e il passaggio al presidenzialismo. Peccato che solo l'indomani della dichiarazione choc è arrivata subito la prima smentita da parte della Lega che con Bossi prima e Calderoli poi hanno bocciato le proposte del premier. "Il presidenzialismo? E' un'idea che ha sempre avuto Berlusconi. Noi non abbiamo mai pensato al presidenzialismo". Così il ministro per le Rforme che ha aggiunto "ora pensiamo al federalismo poi vediamo...". "Presidenzialismo? Io con 'ismo' conosco solo il federalismo", ha chiosato invece con una battuta il ministro della Semplificazione normativa. "Il presidente del Consiglio sappia che se coltiva un'ambizione presidenzialista noi siamo risolutamente contrari nelle condizioni date e con le distorsioni già esistenti. Ma soprattutto invece di gettare ballon d'essai si occupi della vita reale dei cittadini": è stata la dura replica del segretario Walter Veltroni alla proposta sul presidenzialismo."Berlusconi – ha sottolineato Veltroni – si deve occupare di una crisi economica seria e del fatto che la gente come dicono oggi i dati drammatici dell'Istat non arriva a fine mese": il leader del PD invita poi Berlusconi a occuparsi "del dramma delle famiglie italiane invece di mettere ogni giorno altri temi diversivi che tra l'altro dividono la sua maggioranza".Per il Partito Democratico, quello di Berlusconi è stato l'ennesimo tentativo per confondere le acque e distogliere l'attenzione dalla crisi economica e finanziaria. Non è tempo di dibattiti sul presidenzialismo ma di incisive iniziative di governo per fronteggiare la crisi.Per Pierluigi Bersani ministro ombra dell’economia, “abbiamo appreso che il governo del mondo esiste già e che il capo del governo è lui. Abbiamo imparato che la crisi devono risolversela da soli icittadini smettendola col cattivo umore e abbiamo capito che almeno lui passerà un buon Natale”. “Il presidente del Consiglio getta nello stagno il sasso del presidenzialismo per confondere le acque e distogliere l’attenzione dall’unico tema che davvero interessa al Paese, quello della crisi economica e finanziaria, che con l’anno nuovo farà sentire ancora più pesantemente i suoi effetti”. Lo ha affermato il ministro delle Infrastrutture del governo ombra, Andrea Martella.“Nel frattempo – ha proseguito Martella – rimangono ancora senza soluzione le urgenti questioni che toccano la vita di milioni di italiani: i mutui con il tasso più alto d’Europa, la stretta creditizia alle imprese, il rischio concreto per centinaia di migliaia di lavoratori di vedere i loro redditi ridimensionati o azzerati. I generici richiami all’ottimismo risultano, francamente, sempre più stonati e fuori luogo”. “I distinguo di Bossi, del resto, la dicono lunga sull’insofferenza che monta, in pezzi della sua stessa maggioranza, verso la tecnica degli annunci spot. O forse, più probabilmente, Bossi è costretto a fare la voce grossa perché vede il federalismo sfuggirgli via”.“Non solo il presidente del Consiglio non è in grado di risolvere i problemi del Paese – è stata la conclusione di Martella –, ma neanche di onorare gli impegni presi, come nel caso del federalismo, per tenere insieme la sua maggioranza”. “Fa piacere che Berlusconi dichiari che gli ammortizzatori sociali sono una priorità per il governo. Lo sono anche per noi è da tempo che lo diciamo. Bisogna che convinca Tremonti a mettere risorse aggiuntive, sufficienti e strutturali, anziché fare interventi a rate. Le nuove risorse annunciate dalPremier sono la terza variazione all’alto dopo il primo modesto stanziamento di 450 milioni di euro per le casse integrazioni in deroga, addirittura 20 milioni in meno di quanto destinato dal governo Prodi nel 2007, in un momento di assenza di crisi. Il Partito democratico continuerà ad esercitare la sua pressione affinché le risorse stanziate siano veramente adeguate a livello della crisi esistente.” Lo ha dichiarato Cesare Damiano viceministro del Lavoro del Governo Ombra. Per Lanfranco Tenaglia, ministro della giustizia del governo ombra, “Berlusconi continua a lanciare ultimatum sulla giustizia. Vuole ridurre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura sottoponendo il pubblico ministero a controlli che non specifica e quindi, dobbiamo pensare, al controllo del potere esecutivo. La sottrazione al pm della direzione della polizia giudiziaria produrrebbe una grave diminuzione delle garanzie dei cittadini e quindi dell’uguaglianza di fronte alla legge. Non ci sembra davvero questo il modo per arrivare ad una riforma della giustizia condivisa e che soprattutto serva ai cittadini e al Paese.” Per Andrea Orlando portavoce del PD, “Berlusconi parla di un’azione di governo che vede solo lui, annuncia cantieri, centrali nucleari, un ipotetico raddoppio degli ammortizzatori sociali, da conto addirittura di un ruolo da apripista dell’Italia nella politica economica europea. Tutte cose di cui non si vede alcuna traccia nella realtà. Più che una conferenza stampa di fine anno un videogioco. In compenso non dice nulla su come il governo intende rilanciare l’economia, sostenere le famiglie, contenere la crescita della disoccupazione, dare una mano alle imprese. Pensa di cavarsela dando al colpa a Romano Prodi e al governo precedente per le condizioni ovviamente difficili della nostrafinanza pubblica. Trascura di ricordare che Romano Prodi a giudizio della Ue, mai così invocata in questi giorni dal centrodestra, ha migliorato significativamente in 18 mesi i conti pubblici rispetto a quelli lasciati dal governo che lo avevo preceduto che era guidato da un certo Silvio Berlusconi.Il presidente del Consiglio non può fare il marziano, in questi 15 anni è stato l'uomo politico più potente del Paese. Se l'Italia è oggi ridotta male gran parte delle responsabilità sono sue. Da chi guida il governo di fronte a una gravissima crisi economica e finanziaria non si pretendono i miracoli ma almeno una ricostruzione realistica delle condizioni di difficoltà del paese e una proposta per il futuro che offra davvero una speranza agli italiani. “Berlusconi torna a parlare di nucleare ma non sa fare i conti. E’ difficile ragionare con chi confonde le acque e dipinge il nucleare come una fonte di energia sicura, pulita, illimitata e di basso prezzo. Ma non è così, purtroppo. Anche tralasciando le questioni irrisolte di sicurezza e scorie, il nucleare ha segnato il passo in questi anni in Occidente proprio per i costi elevati. E’ per questo che negli USA, dove il settore energetico è tutto privato, non si fanno nuove centrali nucleari dal ‘78, ben prima di Chernobyl. E la Germania, che pure vuole ridurre del 40% entro il 2020 le emissioni di CO, ha confermato che per quella data chiuderà le sue centrali”, lo ha affermato Ermete Realacci, Ministro dell’Ambiente del Governo Ombra del PD, commentando le dichiarazioni di Silvio Berlusconi di un ritorno al nucleare nel nostro paese. “Intanto”, ha aggiunto Realacci,” mentre si parla di nucleare si distoglie l’attenzione rispetto a quello che l’Italia deve fare da subito per affrontare la sfida del clima, la dipendenza dai combustibili fossili, i rischi di approvvigionamento e di aumento dei prezzi del petrolio. A cominciare dal taglio agli eco-incentivi nell’edilizia, una misura che oltre a portare notevoli benefici in efficienza energetica riduzioni di emissioni di Co2, ha portato considerevoli vantaggi anche alle tasche dei cittadini.”“E mentre in America Obama, per rilanciare l’economia lancia un massiccio piano di investimenti con 150 miliardi di dollari in risparmio energetico e fonti rinnovabili, per produrre 5 milioni di nuovi occupati”, ha concluso Realacci, “il nostro Premier ci propone ricette di un’altra epoca”.

ANNO ZERO

dicembre 2008 GOVERNO OMBRA - Copertina
Anno zero

Otto mesi di governo e una sequenza di errori da matita blu e rossa da far paura. È il bilancio dei ministri del governo ombra sul 2008 del governo Berlusconi. Dalla social card, dal Lodo Alfano fino alla riforma scolastica, ai tagli alle forze di polizia e alla difesa dei beni culturali la lista è lunga e nelle ultime settimane si è arrivati all’aumento del prelievo dalle tasche dei cittadini che passa per l’abolizione degli sgravi del 55% sulle ristrutturazioni. Partitodemocratico.it e YouDem Tv hanno chiesto al governo ombra un giudizio sull’operato del governo di destra e le loro proposte alternative.Matteo Colaninno (Sviluppo economico)Il decreto salva crisi è sbagliato. Non è la social card che rimette in moto l’economia. Berlusconi è come il venditore di almanacchi di Leopardi che diceva ‘il prossimo anno sarà migliore’. Vanno aiutate le famiglie, i precari, i giovani in cerca di lavoro estendendo a loro gli ammortizzatori sociali per coniugare flessibilità e sicurezza.Ermete Realacci (Ambiente)La Prestigiacomo si è dedicata ad essere scettica verso la scommessa sul futuro: i mutamenti climatici e la questione energetica sono un punto dimenticato nell’agenda del governo, invece che una delle scommesse più importanti per l’Europa. Lasciamo stare le fesserie, il PD segna un punto sugli sgravi fiscali del 55% degli ecoincentivi con il ritiro della loro retroattività ma nel 2009 dovranno ripristinarli per noi è una priorità. Il nord Europa ha case che consumano la metà delle nostre, questo è un governo di alieni rispetto alle esigenze degli italiani!Barbara Magnolfi (PA e innovazione): il governo attacca i dipendenti pubblici ma non fa nulla per migliorare i difetti della pubblica amministrazione. Il PD vuole più semplificazione invece Calderoli ha tagliato solo decreti ormai inutili: sulla pietra pomice ad esempio! Ma non fa ciò che serve.Dicono di tagliare gli enti inutili poi fanno un decreto per evitare la soppressione degli enti chiusi dal governo Prodi. Hanno attaccato i fannulloni? Definendo così tutti i dipendenti pubblici! Ma non hanno fatto niente sull’innovazione. Invece vanno messi online i bandi di gara e di concorso, vanno resi noti i criteri così da poter controllare.Lanfranco Tenaglia (Giustizia): il governo ha proseguito la distruzione della giustizia portata avanti tra il 2001 e il 2006. Il lodo Alfano viola le norme di uguaglianza tra i cittadini ma su di esso si pronuncerà la Corte Costituzionale. Invece non hanno fatto quello che serviva, non si sono occupati della giustizia dei cittadini. Servono processi più rapidi, certezza della pena, equilibrio tra accusa e difesa. Una giustizia che non funziona è una palla al piede dei cittadini e nel 2009 continuerà ad esserlo.Enrico Letta (Welfare)Il governo si è mosso sulla difensiva rispetto alla crisi economica, ma come dimostrano Brown e Sarkozy bisogna attaccare. Non basta la difesa del decreto salva-banche che noi infatti abbiamo agevolato. Bisogna passare all´offensiva, a partire dagli ammortizzatori sociali. La proposta che mi sento di fare al governo è la seguente: convochi a gennaio una sessione parlamentare che serva ad incardinare la riforma degli ammortizzatori sociali e noi saremo i primi a fare la nostra parte. Ci vuole grande impegno e celerità per dare vita ad una seria riforma nell´arco di un mese.
Vincenzo Cerami (Cultura):il mondo della cultura, dello spettacolo e dell'arte sta affrontando una vera e propria emergenza che il Governo sceglie di ignorare nonostante Bondi chieda risorse! Intanto chiudono 450 tra teatri decine di migliaia di persone sono a rischio disoccupazione in un settore già precario. Ci sono problemi con enti lirici e conservatori. E per i beni culturali?si è trovato un manager (Mario Resca ex Mc Donald, ndr) ma non si vede come potrà gestire se non privatizzando le nostre bellezze! Basta guardare Verona dove il sindaco ha messo in vendita 2 palazzi del ‘700, uno dei quali è un museo. È un precedente pericoloso. Così nel ministero si sta ristrutturando la struttura, mettendo in sottordine tutta la questione ambientale, smantellando gli uffici che se ne occupano. Sappiamo l’importanza che ha la conservazione del paesaggio che è la nostra memoria. La cultura è la nostra identità e la stanno soffocando, considerandola uno spreco. Ma non si vive solo di pasta e ceci!Marco Minniti (Interno): Sicurezza: da parte del Governo Berlusconi tanti annunci e pochi fatti se si escludono grandi tagli agli investimenti: 3,5 miliardi di euro in meno a Interno e Difesa, alle forze di polizia. Sull’immigrazione hanno scelto di non governare il fenomeno: duri a parole senza dare più sicurezza al paese, basta pensare al raddoppio degli sbarchi a Lampedusa in un solo anno! Bisogna distinguere tra chi entra in Italia con una casa e un lavoro e va legalizzato e chi entra illegalmente. Ma il governo fa di tutta l’erba un fascio anche con misure odiose e sbagliate. Noi abbiamo presentato un pacchetto sicurezza per risolvere tutti i problemi e all’inizio del 2009 affronteremo in maniera organica il tema dell’’immigrazione riproponendo con forza i temi della sicurezza e il diritto di voto per gli immigrati presenti legalmente in Italia e che hanno diritto di partecipare alla comunità perché non c’è sicurezza senza solidarietà.
Alfonso Andria (Politiche agricole e forestali)Il decreto sulla competitività nel settore agro-alimentare e la finanziaria sono state le due grandi occasioni perse da parte del governo Berlusconi nel 2008. Due circostanze in cui si poteva dare un sostegno al comparto agricolo e ai settori collegati, alla pesca. Invece abbiamo assistito allo spettacolo della maggioranza che votava i nostri emendamenti in Commissione in Senato mentre noi votavamo alcuni dei loro, o per poi bocciarli tutti in Aula, votando anche contro sé stessa per ordine di scuderia! Votando contro i nostri prodotti di eccellenza, i marchi di qualità del made in Italy. È molto grave e ci impegna a fare di più e meglio nel 2009 provando a fare breccia in una sensibilità che ad oggi non abbiamo potuto rilevare.
Pina Picierno (Politiche Giovanili). È facile criticare il governo perché è stato il più ostile alla gioventù italiana. Ho l’imbarazzo della scelta: dalla norma antiprecari alla riforma scolastica e universitaria si è fatto di tutto x ostacolare i giovani. Per la Meloni non so come criticarla. Non ha fatto nulla per i giovani. Cosa avrei fatto io? Avrei provato a sbloccare il nostro paese che vive in una sorta di ingessatura, di gabbia mentre ha bisogno di liberare le energie. via subito alle quote verdi. L’Italia ha bisogno delle energie giovani, poi voto a 16 anni per le amministrative, più opportunità di accesso al credito, alla casa, al lavoro e cambiamento della legge sull’immigrazione: dando cittadinanza ai ragazzi nati qui.Giovanna Melandri (comunicazione): questo governo ha avuto una politica non brillante: abbiamo visto prima la norma salva Rete 4, poi la decisione di aumentare l'IVA a SKY, un concorrente di Mediaset, poi la sceneggiata della commissione di vigilanza. Su tutto questo stendiamo un velo pietoso... intanto il vero reale problema è rimasto la riforma del servizio pubblico, ancora inattuata nonostante ci si trovi di fronte all'imbarazzante posizione del premier e nonostante il servizio pubblico necessiti di una reale distanza e indipendenza dalla politica. Per noi si deve ripartire dalla riforma della Rai e da più risorse sulle infrastrutture della comunicazione, come la banda larga per le connessioni internet in tutta Italia

martedì 23 dicembre 2008

"BERLUSCONI IL PRIMO RESPONSABILE DELLA CRISI DEL PAESE"

20 dicembre 2008 PRIMO PIANO - Articolo
"Berlusconi è il primo responsabile della crisi nel Paese"
Veltroni ai Giovani Democratici: "No ai capibastone, siate liberi" "Di quello che è successo in Italia negli ultimi quindici anni il primo responsabile si chiama Silvio Berlusconi”. Walter Veltroni, intervenendo alla prima Assemblea nazionale dei Giovani Democratici, parla della delicata situazione che il PD si ritrova ad affrontare, ma non risparmia critiche a chi dimentica le responsabilità della destra nell’attuale situazione del Paese."Silvio Berlusconi ha governato per otto anni negli ultimi quindici e quando non ha governato è stato il capo dell'opposizione, ma fa finta di venire da un altro pianeta". “E' ora di smetterla – continua il segretario PD - con questo atteggiamento di indulgenza da parte di troppi osservatori". In effetti, è impossibile non rimanere perplessi di fronte alle maldestre manovre dell’esecutivo. Sulla crisi economica e finanziaria internazionale il governo italiano lavora solo con gli spot. "Solo il presidente del Consiglio può pensare - dice il leader del Pd alla platea dei giovani del suo partito - di risolvere i problemi con la pubblicità. Ma non serve dire alla gente 'comprate', le famiglie non hanno i soldi: non ce l'hanno quelle dei cassintegrati dell'auto, del tessile; non ce l'hanno le famiglie dei precari, che invece di vedere realizzato il sogno della loro vita lavorativa, la stabilizzazione, hanno visto arrivare il licenziamento".Insomma, per il leader democratico bisogna prendere atto prima di tutto del disastroso fallimento delle politiche economico sociali della destra, sia in ambito nazionale, sia a livello internazionale. La crisi finanziaria mondiale, sostiene il segretario PD, è un "fallimento della destra", un prodotto del "capitalismo selvaggio"."La politica che si alimenta di paura - afferma - genera voti nel breve periodo, ma prima o poi bisogna dare delle risposte. E' come con le carte di credito: prima o poi arriva il conto da pagare, e il conto sta arrivando per la destra”. Alla radice del crollo finanziario, "di questo gigantesco domino", per il leader del Pd c'è la "diseguaglianza sociale", aumentata in modo drammatico "negli anni in cui la destra ha governato gli Stati Uniti". Secondo il leader democratico il problema dell'Italia è che non c'è mai stata una stagione intera di governo riformista. Veltroni ricorda la stagione dei quattro diversi governi del centrosinistra nella tredicesima legislatura, e la fine prematura della quindicesima del secondo governo Prodi: "Mai - afferma - il centrosinistra ha potuto dimostrare cos'è una innovazione riformista come quella di Zapatero o di Blair". La sfida del Partito Democratico è dunque quella di guardare al futuro e lavorare per una proposta seria, coraggiosa e credibile. Il Pd mette insieme "esperienze e culture diverse", spiega Veltroni, e a questo "non c'è alternativa. L'unica alternativa è il ritorno al passato, a un partito del 16 per cento e uno dell8 o del 9 se va bene".Veltroni ha poi sollecitato i giovani democratici a "essere liberi", perché "il correntismo è una malattia che deve essere combattuta. Per questo io vi chiedo di essere liberi, di ragionare con la propria testa e le proprie idee e di non avere forme di appartenenza se non quelle che ci siamo costruiti assieme". Le richieste di Veltroni ai giovani del PD sono le stesse che anche Fausto Raciti, primo segretario dell’organizzazione giovanile, ha espresso nel suo intervento davanti alla platea stracolma del teatro Capranica di Roma: libertà e autonomia intellettuale prima di tutto, ma anche determinazione per creare le condizioni necessari a fare in modo che le nuove generazioni possano entrare nel gruppo dirigente del partito. Non per cooptazione, ma grazie ad una limpida “battaglia delle idee”. “non siamo soldati agli ordini del proprio comandante – dice Raciti – ma guerrieri con delle idee da difendere”.Idee che, per il segretario dei giovani democratici, devono attraversare il territorio. “Dobbiamo fare di più e meglio”, sottolinea Raciti, perché è da lì, dal territorio, che deve nascere il futuro del Partito Democratico. Bisogna “investire maggiormente in alcune aree del Nord”, afferma, e bisogna rivalutare il Sud, una risorsa straordinaria che negli ultimi anni ha riscoperto, in una forma sempre più massiccia, il fenomeno dell’emigrazione di molti giovani che nella loro terra non riescono più a costruire il proprio futuro.

lunedì 22 dicembre 2008

CONTRO LE DISUGUAGLIANZE

22 dicembre 2008 PRIMO PIANO - Copertina
Contro le diseguaglianze
“Ogni volta che l’uomo incontra l’Altro, ha di fronte a se tre possibilità: fargli la guerra, circondarsi con un muro o instaurare un dialogo”. Così Ryszard Kapuściński, celebre giornalista polacco scomparso lo scorso anno, definiva il dilemma che la conoscenza del mondo, dunque dell’Altro, impone all’uomo. Un dilemma che però, in una società democratica e moderna, può avere solo una valida risposta: quella del dialogo. Per far ciò il Partito democratico ha messo a punto un nuovo strumento destinato a promuovere una vera integrazione per una società multietnica e interculturale, anche attraverso la promozione della partecipazione degli immigrati alla vita politica del Paese. Si chiama “Uguaglianze” ed è l’associazione nata con l’obiettivo di arrivare al riconoscimento del diritto di voto amministrativo per gli immigrati regolari che vivono in Italia e il diritto di cittadinanza per i bambini di figli immigrati che nascono nel nostro Paese.L'iniziativa è stata presentata oggi dal segretario del Pd, Walter Veltroni, assieme a Marcella Lucidi e Nando Dalla Chiesa, a cui hanno partecipato i vari rappresentanti di diverse culture e etnie che collaborano al progetto. Il Pd nasce per "favorire tutti i processi di integrazione e contrastare la crescente tentazione" alla creazione di diseguaglianze, ricorda il segretario PD. Integrazione e coesione destinate anche a garantire la sicurezza, perché "persino i più cinici devono sapere che senza integrazione non c'è sicurezza nelle nostre città. So - ha ammesso Veltroni - che dire queste cose è navigare controcorrente, mentre cavalcare le paure crea consenso", ma "per me genera anche disastri e la forza e robustezza di un partito è anche saper andare controcorrente". 'Uguaglianze', conclude Veltroni, "non è il luogo degli immigrati nel Pd, ma il luogo in cui si sviluppano le politiche di integrazione". Veltroni ha ricordato anche che "la lotta a tutte le diseguaglianze è la ragione stessa dell'esistenza del Partito democratico", ancor di più oggi quando la crisi sociale accentua le diseguaglianze con "dati drammatici".''I dati Istat che sono stati appena resi noti – osserva il leader PD - sono drammatici se si pensa che il 5,3% delle famiglie non ha soldi per il cibo. La lotta alle diseguaglianze è il centro dell'identità del Pd e sarebbe utile che il governo invece di parlare di altro e di cercare diversivi, mettesse la battaglia contro le diseguaglianze come proprio dovere''. ''C'è bisogno - sostiene Veltroni - di favorire tutti i processi d’integrazione e lo dico anche nell'interesse dei più cinici perché si vive più sicuri in una società con un alto livello d’integrazione''. Con l’associazione ‘Uguaglianze’, il PD torna a ribadire il suo impegno nel riconoscere il diritto di voto per le amministrative ai cittadini immigrati che vivono regolarmente in Italia. Per il leader del Pd, che ha commentato positivamente l’apertura sul tema da parte del presidente della Camera, Gianfranco Fini, "sarebbe bello che in Parlamento il diritto di voto agli immigrati diventasse una proposta di legge bipartisan. Sarebbe un segno di grande sensibilità civile". Una disponibilità che però, ricordano i cronisti quando il segretario PD lancia la possibilità di una proposta di legge bipartisan, potrebbe trovare la strenua resistenza della Lega e quindi scatenare una crisi di maggioranza. Ma all’ipotesi avanzata, il segretario dei Democratici non dà credito: "Non è una questione di tattica politica ma di sensibilità civile di un paese", spiega. "Non vedo perché - osserva poi - un fatto di civiltà giuridica debba essere paralizzato da decisioni politiche di questo genere. So che buona parte del centrodestra è favorevole a questa proposta. Mi auguro - conclude- che in Parlamento possa emergere una proposta al riparo dalle tensioni".

sabato 20 dicembre 2008

IL DOVERE DI NON DELUDERE: INTERVENTO DI WALTER VELTRONI ALLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO versione integrale.

19 dicembre 2008 PRIMO PIANO - Intervento
Il dovere di non deludere
Pubblichiamo la relazione tenuta da Walter Veltroni alla Direzione Nazionale tuttora in corso, trasmessa in diretta su YouDem.Disuguaglianza sociale. Il dramma più grande che l’Italia oggi sta vivendo è contenuto in queste due parole. Disuguaglianza sociale. E’ questa la grande, moderna questione che si pone, oggi, di fronte a noi.Colpevole non vedere, non rendersene conto. Imperdonabile non sentire bruciante, sulla nostra pelle, per le nostre coscienze, il dovere di offrire risposte a questa realtà. La crisi finanziaria, esplosa nei mesi scorsi, è diventata recessione economica e sta colpendo con durezza la vita delle persone, delle famiglie, delle imprese.Nel terzo trimestre di quest’anno il Pil è sceso dello 0,9 per cento. L’Istat ci dice che il tasso di disoccupazione è arrivato al 6,1 per cento e Confindustria stima che arriverà all’8,4 per cento nel 2009. Settori cruciali del nostro apparato produttivo conoscono riduzioni di ordinativi nell’ordine del 30 per cento rispetto allo scorso anno. La caduta dei consumi e la stretta creditizia tolgono ossigeno alle piccole imprese: tre su cinque stanno avendo difficoltà nell’accesso al credito. Più di 300 mila lavoratori sono già in cassa integrazione: 58 mila in diversi stabilimenti della Fiat, 1.600 nelle sole acciaierie di Piombino, e soffrono anche distretti forti della nostra economia come quello delle ceramiche di Sassuolo e quello dell’occhialeria di Belluno. Sempre Confindustria stima che la crisi distruggerà 600 mila posti di lavoro.“Io non renderei note queste cose”, ha detto ieri il Presidente del Consiglio.Ma questi non sono solo numeri: sono storie, sono vite, sono famiglie mortificate e in ginocchio, sono dignità ferite e speranze infrante. E questa realtà il Presidente del Consiglio non può pensare di cancellarla agli occhi degli italiani. Alcuni di voi avranno letto, su Internet, i racconti dei ragazzi di 5 mila scuole italiane. Descrivono cos’è la crisi, con gli occhi di un adolescente, mentre la vita continua, mentre si avvicinano le Feste di Natale. Una di queste lettere descrive quello che succede in una famiglia normale, semplice, onesta. Lo sguardo di una ragazza che cade sui suoi genitori, seduti al tavolo della cucina. Il padre con la testa fra le mani. La madre con lo sguardo preoccupato che prova a consolarlo. Quelle due parole, “cassa integrazione”, percepite distintamente.E il racconto che prosegue: “papà non sembra consolarsi, dice di essere un fallito, perché non è riuscito a dare tranquillità e sicurezza alla sua famiglia. Si sente un fallito, perché ha caricato mamma di mille preoccupazioni e, nonostante gli sforzi, con quel misero stipendio di operaio che portava in casa, non si riusciva ad arrivare a fine mese. Si sente un fallito perché non riesce a dare ai suoi figli un futuro sereno: non può portarci al cinema o al ristorante, ma neanche comprarci dei vestiti nuovi o una fetta di carne in più al posto delle solite verdure. Mamma allora si siede accanto a lui, lo guarda negli occhi e gli dice determinata e lucida: è lo Stato che ha fallito, non tu; lo Stato che non riesce a dare benessere ai suoi cittadini e sta producendo sempre più nuovi poveri”. Il dramma è questo. La crisi sta colpendo un Paese fermo e terribilmente diseguale, un Paese con le infrastrutture in ritardo e senza mobilità sociale, sempre più diviso fra ricchi e poveri, fra chi paga le tasse e chi no, fra pochi che per molto tempo hanno tratto vantaggi dalle speculazioni finanziarie e tanti che anche per effetto dell’avida ingordigia di questi pochi ora non arrivano alla fine del mese.Gli operai che faticano, che troppo spesso rischiano anche la vita per 1.200 euro al mese e che ora vivono con l’angoscia di arrivare in fabbrica e sapere che si va tutti a casa perché la produzione si ferma. I pensionati che devono calcolare come impiegare quel che resta della loro pensione dopo aver pagato l’affitto di casa e le bollette e decidere se eliminare qualcosa quando vanno al supermercato oppure entrano in farmacia. I ragazzi che, quando scadono i sei mesi passati al telefono a quattro o cinque euro l’ora, sanno che nemmeno verranno avvertiti e “licenziati”, perché semplicemente non verrà loro rinnovato il contratto: si calcola possano essere mezzo milione, quelli che alla fine dell’anno saranno in questa condizione. Tutte quelle famiglie che sono state sempre considerate “ceto medio”, ma che stanno diventando i “nuovi poveri” di cui si parla nella lettera di quella ragazza. O che comunque sentono che possono facilmente diventarlo: l’Italia è il paese europeo, seconda solo all’Ungheria, con la percentuale più alta di persone (più di un terzo della popolazione) che si sentono a rischio povertà. La realtà nuova con cui tutti siamo chiamati a fare i conti ha insomma un nome: disuguaglianza sociale. E noi, una forza come il Partito Democratico, non possiamo rispondere che in un modo: facendo nostra, nei modi che sono di un partito riformista e dell’innovazione, la lotta alle forme di questa moderna e inaccettabile disuguaglianza sociale. E’ proprio adesso che noi possiamo farlo, che il Partito Democratico può e deve farlo. E’ il senso, la ragione, della nostra stessa esistenza.Nel momento in cui c’è un’emergenza da gestire, per attutire l’impatto della crisi sulla società italiana. Ora che c’è da immaginare e costruire il futuro, se si vuole evitare che l’Italia esca dalla recessione più piccola, più sola e ancora più ingiusta.C’è bisogno di molta e buona politica. Gestire l’emergenza, immaginando e costruendo il futuro, richiede infatti la capacità e la volontà di fare appello, in piena trasparenza, a tutte le energie del Paese. Richiede spirito repubblicano, forte coesione nazionale, senso di responsabilità diffuso, insieme al coraggio di decisioni difficili e ambiziose.Al governo, lo diciamo con rammarico, sono fin qui mancati sia il coraggio dell’innovazione, sia la capacità di confronto: sul piano politico e parlamentare, come su quello sociale e sindacale.La destra appare più impegnata in una campagna elettorale permanente. Il governo fa l’opposizione all’opposizione, piuttosto che governare il Paese in un passaggio così difficile. Gli italiani se ne sono accorti e hanno cominciato ad esprimere disillusione e preoccupazione.In Abruzzo, il partito dell’astensione ha sfiorato la maggioranza assoluta. E il nuovo presidente della Regione è stato votato da meno di un quarto degli elettori. Non si contano i sondaggi che rilevano la crescita esponenziale della propensione al non voto.E’ evidente che l’angoscia per la crisi economica e sociale, insieme alla caduta di autorevolezza, di credibilità morale della politica, stanno aprendo una pericolosa voragine nella democrazia italiana.Anche sotto questo profilo, il profilo politico e istituzionale, la crisi sarà uno spartiacque. Non solo il volto economico, produttivo, sociale dell’Italia, non solo il suo peso e il suo ruolo in Europa e nel mondo: anche la sua fisionomia civile, la sua qualità democratica saranno ridefiniti, usciranno radicalmente cambiati.Potremmo ritrovarci in un Paese che non riconosciamo. Migliore o peggiore: dipenderà anche da noi, da cosa decideremo di fare e prima ancora di essere.Sarà un paese senza il berlusconismo, che nonostante le apparenze è un modello culturale, prima ancora che economico e politico, che inevitabilmente volge al tramonto. E’ stato il nostro modo, il modo italiano, di adattarci all’egemonia del pensiero neo-conservatore, che ha dominato il mondo negli ultimi trent’anni e oggi è entrato in una crisi irreversibile.Il Partito Democratico invece è nato per abitare il futuro. Per essere la vela con la quale l’Italia può prendere il vento nuovo: quel vento democratico che oggi sembra essere l’unica energia che può portare il mondo fuori dalla crisi.Ma non possiamo dare nulla per scontato. Non basta un’intenzione, per produrre un successo storico. Serve un’opportunità oggettiva, un’occasione prodotta dalla storia. E serve anche una convinta decisione soggettiva, che si traduca in una collettiva assunzione di responsabilità.Il Partito Democratico è nato sulla base di una sintesi tra continuità e innovazione. Era inevitabile e forse anche saggio. Se oggi abbiamo il PD, se oggi siamo il PD è perché culture politiche che hanno fatto la storia del Paese, organizzazioni profondamente radicate nella società italiana hanno deciso, con generosità e lungimiranza, di guardare oltre se stesse, di pensare il futuro. Ma la crisi economica e politico-morale che stiamo vivendo ci consegna, oggi, un’alternativa, secca e drammatica: o innovazione, o fallimento.O siamo capaci di accelerare l’innovazione – politica e programmatica, ma più ancora radicando un partito nuovo – o rischiamo che il PD sia travolto. O aiutiamo il Partito Democratico a saltare nel futuro, o finiamo per legarlo ad un presente che la crisi sta precipitando nel passato.Questo è l’ultimatum che ci hanno inviato gli elettori abruzzesi. Con l’astensione di massa, che non ha colpito solo noi, ma anche e innanzi tutto noi. E con il voto all’Italia dei Valori, che come è stato scritto è il sintomo e non la causa del nostro malessere. L’una e l’altro, sono espressione di una protesta, dura, rabbiosa, e insieme di un appello accorato, da parte dei nostri elettori.Il bollettino quotidiano, che da ormai diverse settimane ci informa di indagini o provvedimenti giudiziari nei confronti di nostri amministratori o dirigenti, in tutta Italia e in particolare nel Mezzogiorno, racconta al Paese di un Partito Democratico segnato da opacità amministrative, compromessi morali, collusioni col malaffare.Sappiamo che si tratta di un’immagine deformata e quindi ingiusta. I nostri amministratori sono migliaia: migliaia di persone perbene, la stragrande maggioranza delle quali regala alla collettività un servizio in regime di volontariato, quando non ci rimette di tasca propria.Al Paese voglio dire che il PD è un partito di persone per bene, di amministratori straordinari, che sono un patrimonio per l’Italia. Colpirli significa danneggiare quella cultura del buon governo e della responsabilità etica che caratterizza il lavoro, la fatica e il rischio di migliaia di amministratori italiani.E tuttavia, non si può deformare, o ingrandire, qualcosa che non c’è. Non sappiamo se ci sono elementi di prova a carico degli amministratori e dirigenti politici indagati dalla magistratura. Per ciascuno di loro vale, come per tutti, il principio costituzionale della presunzione d’innocenza, fino alla eventuale condanna definitiva.E la magistratura, lo diciamo in questo momento con la nettezza di sempre, deve procedere nel suo lavoro senza che da nessuna parte venga messo in discussione il principio della sua autonomia e indipendenza. Quel principio che è la forza di una democrazia. Per noi la questione morale è centrale. Lo è per il nostro elettorato, lo è per ciascuno di noi individualmente. Per questo, quando si affaccia, determina in noi inquietudine e voglia di reagire.Sia chiaro: noi vogliamo più di chiunque altro che proprio gli amministratori di centrosinistra siano i più attenti alle regole, giuridiche e morali, che presidiano al loro lavoro. E dunque, se la magistratura, in singoli casi, registra gravi anomalie, è giusto che intervenga. Non siamo tra coloro che rispettano la magistratura e la sua autonomia a seconda di chi è indagato.Allo stesso tempo voglio dire questo: un magistrato ha nelle sue mani uno strumento molto potente, che può distruggere la vita e la dignità di una persona. E non penso solo ai politici o agli amministratori, ma in primo luogo ai singoli cittadini.Voglio essere sincero, perché lo sostenne il mio giornale, quando ero direttore dell'Unità, al momento dell'arresto di Paolo Berlusconi: la sottrazione ad una persona della sua libertà è uno strumento estremo, da utilizzare davvero con grande equilibrio e attenzione.Anche perché non si può ignorare il fatto che sul lavoro della magistratura agisce la morsa di un sistema mediatico che finisce per regalare nove colonne alla notizia di un'indagine e consegna a sole tre righe quella del proscioglimento.La magistratura ha un grande potere, al quale non può non corrispondere una grandissima responsabilità. E un po’ come un medico che se sbaglia un’operazione può segnare per sempre la vita di una persona. E comunque, per noi, non c’è solo il codice penale. Non possiamo non vedere come nel nostro partito si siano insinuati stili politici, metodi di gestione della cosa pubblica, modalità di rapporto con la società civile e di relazione con la sfera degli interessi privati, assai diversi da quelli che devono essere nostri.C’è la grande maggioranza degli amministratori di centrosinistra, che hanno sempre ispirato la loro condotta a principi di trasparenza, di competenza, di innovazione e su queste buone pratiche hanno basato la loro popolarità tra i cittadini.E tuttavia, da diversi anni a questa parte è cresciuta, attorno a tutti i partiti, anche un’area grigia e paludosa, nella quale la trasparenza è diventata opacità, la competenza professionismo politico e carrierismo arrogante, l’innovazione gestione cinica di un potere fine a se stesso.La popolarità, in questi casi, ha lasciato il passo al disincanto e alla delusione. E ci si è illusi di poter compensare questo deficit di consenso con il rovesciamento del rapporto tra potere e consenso: non è più il libero consenso dei cittadini che legittima il potere, ma è il potere che viene utilizzato per acquistare il consenso.E comunque, anche le ultime indagini dimostrano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la questione della moralità della politica non riguarda certo una parte sola. Noi la avvertiamo in modo particolarmente bruciante perché la nostra cultura, i nostri valori, il nostro modo di essere, quello di tutto il nostro popolo, mette la legalità e l’onestà personale al primo posto, assoluta precondizione del far politica.Per altri non è certo così. E tutto si può accettare tranne le lezioni che vengono da chi tra le sue file ha indagati per reati connessi alla mafia e alla camorra. Da chi, mi riferisco al Presidente del Consiglio e voglio dirlo senza alcuna concessione alla demagogia, ma per semplice verità dei fatti, ha scelto di fronteggiare le sue vicende giudiziarie varando una serie infinita di leggi ad personam.E’ in funzione dei nostri valori che noi siamo estremamente severi con noi stessi e promuoviamo la nostra stessa profonda innovazione. Un partito ha pochi poteri di intervento su se stesso in chiave punitiva e repressiva. Ha invece grandi responsabilità e possibilità nella prevenzione di comportamenti illeciti, o comunque sbagliati. Perché se organizziamo la nostra vita interna in modo da tollerare fenomeni di malcostume politico, per quanto non penalmente rilevanti, di fatto abbassiamo la soglia etica e creiamo le premesse anche per la violazione delle leggi.Il Partito Democratico è un partito nuovo, anche perché la prevenzione del malcostume politico intende farla sul serio. Anche se questo dovesse costare, nell’immediato, pagare dei prezzi in termini di consenso elettorale.Non ho nessuna paura, voglio essere chiaro anche in questo caso, di perdere voti se questo significa combattere e sconfiggere quei fenomeni di inquinamento che rischiano di avvelenare la nostra vita interna. Per i disonesti non c’è posto nel Partito Democratico. Verremmo meno alla nostra responsabilità, se pensassimo e se ci comportassimo diversamente.Il Partito Democratico è nato per rinnovare la politica, per restituirle dignità, credibilità, autorevolezza. Per liberarla da queste degenerazioni: non per ereditarle, non per farle sue. Il Partito Democratico fa parte della soluzione, non del problema.Questo abbiamo detto ai cittadini italiani. Ai nostri elettori che hanno affollato i seggi delle primarie il 14 ottobre dell’anno scorso e poi ci hanno consegnato, pur nella inevitabile sconfitta nella competizione sul governo, un partito del 33 per cento dei voti, il più grande partito riformista che l’Italia abbia mai conosciuto.Lo abbiamo detto ai nostri militanti, che hanno riempito il Circo Massimo il 25 ottobre: per la prima volta in così tanti, per la prima volta accomunati dalla stessa bandiera. Così abbiamo detto. E così loro hanno capito.Per questo, oggi, ci chiedono coerenza. Lo hanno fatto in Abruzzo. Lo fanno in tutto il Paese, e noi dovremo dare loro la chiara percezione che abbiamo scelto, in modo inequivocabile e impegnativo, la discontinuità e l’innovazione: sul piano politico, su quello programmatico, su quello della forma partito e della sua classe dirigente.Le crisi sono fasi di passaggio, dure e dolorose, dalle quali non si esce mai come si era entrati: nelle forme e nei modi di produzione e di sviluppo; nei rapporti di forza, sociali e politici; nei modelli culturali, nella gerarchia dei valori.Dalla grande crisi del 1929, si uscì, dopo la Seconda Guerra mondiale, con un grande compromesso tra capitalismo e democrazia: una crescita trainata dai consumi di una classe media in espansione, nella quale entrava il mondo del lavoro, anche operaio; una forte compressione delle disuguaglianze, grazie a politiche salariali generose e a forti azioni redistributive pubbliche; la rapida espansione dello Stato sociale.Trent’anni dopo, negli anni Settanta, la crisi petrolifera e la stagflazione hanno spinto l’Occidente a cambiare rotta: forti investimenti in innovazione tecnologica, che innalzano la produttività tagliando posti di lavoro e ridimensionando il potere contrattuale dei sindacati; la classe media si assottiglia, le disuguaglianze tornano ad allargarsi e l’ascensore sociale si blocca, anche per il ridimensionamento dello Stato sociale. Viene teorizzata l’autosufficienza del mercato e si afferma lo strapotere della finanza sull’economia reale, con gravi conseguenze anche per la democrazia, costretta a rinunciare a qualunque effettiva sovranità sui flussi di capitale.L’economia torna a crescere, ma a prezzo di gravi squilibri e forti disuguaglianze: negli Stati Uniti, innanzi tutto, ma anche in una parte dei paesi europei, tra i quali in primo luogo l’Italia, divenuta in questi anni, dopo gli Usa, il paese più diseguale dell’Occidente.Nel mercato globale entrano in campo nuovi protagonisti. Miliardi di esseri umani, prima esclusi dallo sviluppo, rivendicano peso e ruolo. Nel nuovo secolo, lo sviluppo si mostra tanto impetuoso, quanto insostenibile: sul piano globale, per il divario crescente tra l’indebitamento americano e il surplus asiatico; sul piano ambientale, per le pesanti conseguenze sul clima del trasferimento del modello occidentale ai paesi emergenti; sul piano interno, per l’impoverimento della classe media, in particolare negli Usa, spinta ad indebitarsi per la casa, la sanità, l’istruzione.Lo squilibrio è stato sostenuto, in questa prima fase del Duemila, la stagione della presidenza di George Bush, dalla “hybris” imperiale americana, dal suo imporsi come unica iperpotenza globale, dalla sua pretesa di dettare da sola, in modo unilaterale, con le armi o con il dollaro, le decisioni riguardanti l’ordine mondiale.Ma il pantano iracheno prima e la crisi finanziaria poi, hanno spezzato l’illusione neo-conservatrice e hanno aperto la via ad una fase nuova, ad un nuovo paradigma di pensiero, ad una nuova stagione politica.In questo contesto, la scelta del popolo americano di affidare le proprie sorti a Barack Obama è stata una straordinaria prova di saggezza e di lungimiranza. L’America ha respinto la tentazione della chiusura difensiva e ha deciso di scommettere sul cambiamento: su un nuovo multilateralismo nelle relazioni internazionali; e su un nuovo New Deal, sulla ricostruzione della classe media, su una nuova stagione di uguaglianza sociale.Obama, e con lui il Partito democratico, ha vinto perché ha puntato tutte le sue carte sul cambiamento, sulla voglia, sul bisogno di innovazione della società americana.Ora è atteso dalla dura prova dei fatti. Sarà la storia a dirci se il giovane presidente afroamericano, come tutto lascia sperare e presumere, sarà un nuovo Roosevelt, la guida sicura di una fase di cambiamento duraturo e solido. Per intanto, è toccato a lui aprire simbolicamente una fase nuova, una “terza fase” dello sviluppo umano contemporaneo.Il binomio rappresentato dalla crisi economica e dalla vittoria di Obama costituisce una formidabile occasione storica per i democratici e i progressisti di tutto il mondo e quindi anche per noi italiani.Nessuno di noi ha mai pensato che la vittoria democratica negli Stati Uniti fosse una nostra vittoria, ma abbiamo colto in quel risultato una straordinaria opportunità e anche una lezione, da apprendere e da meditare.Grazie alla crisi economica e al suo programma innovativo, Obama è riuscito a cambiare in profondità i rapporti di forza politici nella società americana, riportando i Democratici al primato sia alla Casa Bianca che al Campidoglio, dopo una lunga stagione di predominio repubblicano, solo attenuato con la presidenza Clinton.Se ciò è stato possibile, è perché la crisi economica ha riportato in primo piano il conflitto sociale, negli anni di egemonia repubblicana messo in secondo piano dall’uso ideologico delle questioni inerenti la razza, i valori tradizionali, la sicurezza interna ed esterna.E’ come se la crisi avesse dissolto la nebbia che per tre decenni aveva consentito e quasi imposto ai ceti popolari e alla middle class americana di votare contro i propri interessi e a favore di quelli della minoranza privilegiata, che vedeva ogni anno crescere i suoi redditi e i suoi patrimoni e decrescere la pressione fiscale alla quale era sottoposta.La lezione americana ci dice che cambiare i rapporti di forza nella società è possibile; che se è stato possibile nella società americana, non c’è alcuna ragione insuperabile perché non possa esserlo anche in quella italiana; che la condizione perché ciò avvenga è riportare in primo piano, nella competizione politica, la questione economica e sociale; e offrire ad essa uno sbocco realistico, attraverso una proposta di forte innovazione politica e programmatica.Questa è del resto per noi la “vocazione maggioritaria”. Non la presunzione boriosa dell’autosufficienza, né la ricerca della solitudine, ma la convinzione che i rapporti di forza elettorali, anche nella società italiana, non sono un destino ineluttabile, ma possono essere modificati, anche in profondità, se cambia l’offerta politica, attraverso l’innovazione della proposta che rivolgiamo al Paese.Non è vero, non è mai stato vero, che la società italiana è “di destra” e pertanto ai riformisti, ai democratici, non resta che compensare, con la manovra politica, con il gioco delle alleanze, la loro insuperabile minorità.Il Partito democratico è nato sulla base del presupposto contrario. Una profonda innovazione politica e programmatica può cambiare, anche significativamente, l’orientamento elettorale degli italiani.Noi vogliamo far diventare il PD, alle prossime elezioni politiche, il primo partito italiano. Vogliamo conquistare alla destra una parte dei suoi consensi, costruendo una grande alleanza nella società italiana, un'alleanza con il Paese.E’ un cammino lungo e faticoso, quello che ci attende. Un cammino che chiede a ciascuno di noi generosità, pazienza, tenacia. E anche una certa dose di disciplina interiore. Ma è l’unico all’altezza delle ragioni storiche che hanno portato alla fondazione del PD. E soprattutto, l’unico adeguato alle necessità dell'Italia.Lungo il cammino, costruiremo le necessarie alleanze politiche. Mai più alleanze lunghe, eterogenee, costruite “contro” l’avversario e poi incapaci di governare. Questa stagione l’abbiamo chiusa con coraggio noi, l’ha chiusa il PD per sempre e il Paese non ha nessuna intenzione di farsi riportare indietro.E neppure dobbiamo nutrire nostalgia della stagione dell’alleanza tra partiti “di sinistra” e partiti “di centro”. Non solo è un progetto incompatibile col Partito Democratico, che è un partito di centrosinistra. Soprattutto, è un progetto anacronistico, che considera immutabile uno schema novecentesco che tutt’al più può sopravvivere a se stesso, ma che certo non è in grado di esprimere alcuna potenzialità innovativa.Non c’è, da parte nostra, alcuna illusione di poter fare tutto da soli. Ma le alleanze nuove che costruiremo saranno alleanze per l’innovazione e il cambiamento, affidabili sul piano della tenuta alla prova di governo. E saranno possibili solo se il Partito Democratico saprà dimostrare capacità espansive, solo se noi non delegheremo a nessuno il compito, che è innanzi tutto nostro, di modificare i rapporti di forza politici nella società italiana, attraverso la messa in campo di una proposta innovativa e credibile.E' qui il punto di debolezza dell'Italia dei Valori, che alimenta costantemente una polemica nei nostri confronti ma non si cimenta, parlando di lavoro, di scuola o di immigrazione, con le sfide dell'innovazione riformista.Sento dire che dovremmo rompere con Di Pietro. Posso solo far presente che già per tre volte in questi mesi, abbiamo esplicitato nel modo più chiaro che in Italia ci sono modi diversi di intendere e di fare l’opposizione: subito dopo il voto di aprile, quando Di Pietro ha stracciato gli accordi presi prima delle elezioni sul gruppo unico, quando noi non abbiamo partecipato alla manifestazione di Piazza Navona e infine con una mia dichiarazione che è stata titolo di apertura dei giornali.Ciò non significa che a livello locale non si possano trovare, come accade e accadrà con l’Udc e la sinistra radicale, delle convergenze su programmi e buona amministrazione.E comunque vorrei ricordare, per la memoria, che con lo stesso Di Pietro che oggi fa un’opposizione diversa dalla nostra, abbiamo condiviso un’esperienza di governo, e con non poche contraddizioni.E’ giusto fare, forse, un ragionamento di fase. Silvio Berlusconi è da quindici anni al potere. Otto come capo di governo, sette come capo dell’opposizione. E’ l’uomo politico più “longevo” dell’ultimo trentennio di storia italiana. E’ evidente che il Paese si trova nelle condizioni in cui è, sua è una parte molto grande di responsabilità. Ed è altrettanto evidente che se l’Italia sta così è anche perché le è mancata una vera e coerente stagione riformista. Il nostro Paese non ha conosciuto stagioni paragonabili a quella che la Gran Bretagna ha avuto con Tony Blair o per il verso opposto da Margaret Thatcher, non ha mai goduto dei benefici di quei cicli lunghi di governo che producono ventate creative e innovatrici, che dinamizzano e modernizzano una comunità nazionale.Due volte si sono aperte possibilità di questo tipo: con il primo centrosinistra e con il primo governo Prodi, ma entrambe queste esperienze si sono interrotte bruscamente. Berlusconi ha dimostrato e continua a dimostrare di non essere all’altezza di questa sfida. Noi dobbiamo esserlo. Tutte le nostre energie, intellettuali, morali, politiche, organizzative, devono essere messe al servizio di questo compito storico, allo stesso tempo arduo e affascinante. Con la crisi dell’egemonia del pensiero neo-conservatore, può tornare il primato della politica sulla forza, e dopo la crisi dell’unilateralismo, torna ad affermarsi, come unica via possibile, quella del multilateralismo efficace, del dialogo tra i popoli, per la pace e per uno sviluppo equilibrato e sostenibile.Si afferma, a partire dai pericoli per l’ambiente, la necessità di una visione qualitativa dello sviluppo, che faccia della ricerca di nuove tecnologie e di nuove fonti energetiche il settore trainante di una nuova rivoluzione industriale.Oltre la contrapposizione tra religione e ragione, si afferma l’idea di una società post-secolare, nella quale il riconoscimento della dimensione pubblica della fede religiosa, del suo apporto alla tenuta dei legamenti sociali e alla vitalità della democrazia, si salda con l’autonomia della politica e la laicità delle istituzioni.Emerge, da questi segni dei tempi, tutta l'attualità del progetto del PD, che è nato sulla base di un’intuizione culturale, prima ancora che politica. Avevamo maturato la consapevolezza che il mondo nuovo che stava nascendo metteva fuori gioco le vecchie culture, le tradizioni politiche del Novecento, con le loro pretese di autosufficienza. E ci provocava a cercare, insieme, un pensiero nuovo, nuove categorie per leggere la storia e nuovi alfabeti per interloquire con essa. Per questo ci siamo incontrati, donne e uomini che si erano formati nella sinistra democratica come nel movimento cattolico, nell’area laica e liberaldemocratica o a confronto con le nuove culture e i nuovi movimenti della fine del secolo scorso. Quel che ci accomuna è una visione umanistica della storia e della politica, sulla quale fondiamo il nostro impegno per una società aperta, libera, eguale.Noi, il PD, non siamo una federazione di vecchi partiti e neppure di vecchie culture. Siamo un partito nuovo, impegnato nella definizione e nella realizzazione di una comune, innovativa identità politica e culturale: l’identità democratica, l’identità di un partito riformista, di centrosinistra.Ci sentiamo parte di una vicenda storica dell’umanità che va sotto il nome di “Occidente democratico”. Siamo “europeisti” e siamo “atlantici”. Non in maniera chiusa, esclusiva, difensiva, ma in maniera aperta. Pensiamo cioè che quanto noi abbiamo scoperto nella terribile e travagliata storia dell’Occidente lo stia scoprendo tutta l’umanità e che gli altri popoli stiano percorrendo un cammino originale verso la stessa nostra meta: la meta della democrazia, l’unico sistema rispettoso della dignità di ogni essere umano.C'è qui, per noi progressisti di tutto il mondo, la sfida di una missione al tempo stesso antica e nuovissima: attraverso un nuovo internazionalismo democratico, costruire le sedi e le regole di un nuovo governo globale. Quel governo mondiale del quale parlò con grande spirito anticipatore Enrico Berlinguer.C’è la sfida di fare di una nuova stagione di lotta alla disuguaglianza la leva fondamentale per l’apertura di una nuova fase di sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.Il PD è un partito europeista, che lavora al potenziamento delle istituzioni comunitarie, sulla base di un’ispirazione federalista, anche attraverso la costruzione di un vero sistema politico europeo, che abbia nella competizione tra centrodestra e centrosinistra una sua dimensione centrale e imprescindibile.Oggi non è così. La Commissione europea è il risultato più degli equilibri tra i governi nazionali, che di quelli emersi in seno al Parlamento dal voto dei popoli. E lo stesso Parlamento europeo vive più di consociazione tra i grandi partiti, a loro volta prevalentemente cartelli di partiti nazionali, che di competizione tra grandi schieramenti politici.La nostra collocazione e il nostro ruolo in Europa sono definiti da due punti fermi. Il primo è l'autonomia dell’identità “democratica” del PD, irriducibile alle attuali famiglie politiche europee. Un’identità che deve essere messa al servizio della costruzione di un grande campo di centrosinistra in Europa. La seconda è il progetto di trasformazione del quadro politico europeo, per il quale intendiamo batterci e attorno al quale intendiamo costruire una rete di alleanze in Europa, a cominciare dalla famiglia socialista. Così vogliamo essere: con la nostra identità, ma non isolati.La nostra vocazione maggioritaria, la nostra ambizione di modificare in profondità i rapporti di forza nel Paese, attraverso la costruzione di una nuova alleanza sociale, fondata sull’innovazione politica e programmatica, ha come primo banco di prova la risposta da dare alla crisi globale che sta sconvolgendo anche il nostro Paese.Con il Lingotto e con programma elettorale, e poi con il lavoro del governo ombra, abbiamo configurato proposte e valori di riferimento. Lo dico perché uno dei nostri vizi è quello di pensare di dover sempre ricominciare da capo con i programmi e l’identità. Invece abbiamo una solida base. Nello stesso spirito di innovazione, sapendo che questi temi e l’innovazione del partito saranno ancora al centro della Conferenza programmatica di marzo, voglio oggi avanzare una serie di altre concrete proposte.1 – Primo: una politica di bilancio espansiva, subito, adesso. La crisi va affrontata dando una risposta efficace a chi perde il lavoro, alle famiglie che non arrivano alla fine del mese e alle imprese che soffrono. Ed è questo l’unico modo per farlo. Tutti i governi stanno facendo così. Tutti meno uno: il governo Berlusconi, in Italia. Che si ostina a ripetere che non c’è bisogno di modificare il decreto di luglio. Il Pil cade, la produzione industriale crolla, aumenta la disoccupazione, gli italiani stringono la cinghia e riducono i consumi, ma tutto quel che c’era da decidere è già stato deciso a luglio e ora bisogna lasciare perfettamente inalterati i saldi di finanza pubblica.Non si può fare diversamente, dicono gli stessi neofiti del rigore che tra il 2001 e il 2006 hanno aumentato di due punti e mezzo di Pil la spesa corrente primaria e che ora hanno appena buttato 3 miliardi e mezzo di euro nell’azzeramento dell’Ici anche per i contribuenti più agiati e altri 3 miliardi nel pasticcio Alitalia.E invece si può e si deve cambiare, bisogna avere il coraggio di innovare. I problemi dell’Italia sono profondi, non nascono con la crisi. L’Italia non deve solo resistere alla recessione, deve tornare a crescere.Nessuno meglio di noi sa che la stabilità dei conti pubblici è un valore. Siamo stati noi a risanarli e a portare l’Italia da subito in Europa, quando altri pensavano solo ad alimentare uno sterile euroscetticismo. E’ stato il primo governo Prodi, è stato un ministro del Tesoro come Carlo Azeglio Ciampi.Ma se è in corso una recessione, l’unico modo per tenere in ordine i conti pubblici in prospettiva è quello di sostenere la crescita, e dunque di aumentare ora la spesa pubblica, avviando contemporaneamente, subito, quegli interventi di riqualificazione della spesa che porteranno domani ad una sua riduzione. Sostenere ora il Pil richiede anche la ripresa delle liberalizzazioni e di azioni coerenti di politica industriale; tenere i conti in ordine impone di tornare a contrastare l’evasione. Solo così potremo davvero non compromettere la stabilità di lungo periodo della finanza pubblica.Ecco la nostra proposta: per il 2009 si sostengano le famiglie, i lavoratori e le imprese con misure pari a un punto di Pil, pari a 16 miliardi di euro.Proponiamo di ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro e sulle pensioni, a partire dai livelli medio-bassi: 7-800 euro l’anno in più per chi ha fino a poco più di mille euro al mese. Una misura non una-tantum, ma permanente, in grado di dare un sollievo duraturo e di contribuire a rilanciare i consumi. Questo serve, anche alle nostre imprese. Alle quali lo Stato deve garantire un sostegno per accedere a tutto il credito di cui hanno bisogno e l’immediato pagamento per i beni e servizi che devono arrivare dalla Pubblica Amministrazione. Tempi certi: quando si ha a che fare con lo Stato, per le imprese, come per i cittadini, questo deve essere un diritto, non solo un dovere.Proponiamo poi una riduzione del prelievo Irpef sulla quota di salario da contrattazione di secondo livello, in modo da favorire la crescita della produttività e la sua equa redistribuzione. E proponiamo una riduzione del prelievo Irpef sulle lavoratrici, dipendenti e autonome, con figli. A parità di reddito, di prestazione di lavoro, di settore di attività, il lavoro di una donna con figli deve essere fiscalmente agevolato, e costare meno all'impresa, rispetto a quello di un lavoratore maschio. Le ragioni sono evidenti: se in famiglia lavora anche la donna, ci sono spese per servizi di cura che altrimenti non ci sarebbero. E se incentiviamo l’occupazione femminile, tutto il sistema ne trae giovamento, perché la più grande risorsa per lo sviluppo e la mobilità sociale è quella, oggi sottoutilizzata, rappresentata delle donne.C’è un’evidente, fortissima connessione tra queste proposte in tema di trattamento fiscale del reddito delle lavoratrici e quella che abbiamo chiamato la “dote fiscale dei figli”: un robusto aiuto alle famiglie che traduce in italiano, senza disincentivare il lavoro femminile, la soluzione francese del “quoziente familiare”.Questo deciso riorientamento “al femminile” del sistema fiscale e di welfare può essere finanziato, almeno in parte, attraverso il graduale e flessibile superamento dell’attuale differenza dell’età di accesso alla pensione tra uomini e donne: una questione difficilmente eludibile, dopo la sentenza della Corte europea di giustizia, che l’ha definita come una discriminazione contro le donne.La nostra proposta – al contrario di quella del Governo, che si limita a prendere atto della sentenza per fare cassa – intende utilizzare tutte le risorse liberate, per rafforzare il sostegno pubblico alle donne stesse, favorendo ogni pratica di conciliazione e concentrando le risorse nella fase della loro vita nella quale ne hanno più bisogno, quella del triplo impegno: della maternità, del lavoro di cura e del lavoro di mercato.E se c’è da affrontare un grande forzo per sostenere lo sviluppo e il tenore di vita della classe media e del mondo del lavoro, è giusto, ad esempio, chiedere un contributo straordinario di solidarietà a chi, manager e non solo, ha redditi superiori ad un milione di euro.E’ venuto il tempo di cominciare a redistribuire davvero, da chi ha troppo verso chi ha poco.2 – Seconda grande innovazione: un nuovo sistema universale di ammortizzatori sociali.E’ una innovazione che risponde concretamente al dramma di milioni di milioni di persone, donne e giovani su tutti, e che dà il segno di quanto sia profonda la rottura col passato rappresentata dal riformismo del Partito Democratico. Per i lavoratori che sono tutelati dalla Cassa integrazione, questo è un periodo difficilissimo, pieno di preoccupazioni sul futuro loro e dell’azienda. Per tutti gli altri, è anche peggio. Per loro, la perdita del lavoro è subito perdita di tutto il reddito.Innovazione, per noi, significa allora superare quell’inaccettabile dualismo nel mercato del lavoro per il quale ci sono lavoratori che hanno tutele e garanzie e altri che ne hanno di meno o non ne hanno affatto.E’ come se all’Italia mancasse un intero pilastro dello Stato sociale. Se in America manca la sanità pubblica, a noi manca la tutela del reddito in caso di perdita del lavoro. Invece della flexicurity europea, nel nostro Paese, per quasi metà dei lavoratori c’è il massimo di flessibilità, senza alcuna sicurezza.Innovazione, per noi, significa un sistema capace di sostenere tutti i lavoratori, al di là del contratto, del settore e delle dimensioni dell’impresa nella quale operano, nel momento in cui ne hanno bisogno. Uniche condizioni: l’impegno per la riqualificazione professionale e la disponibilità ad accettare un nuovo lavoro.Proponiamo un sussidio unico di disoccupazione, che sostituisca gli attuali istituti, che sia della durata massima di due anni, che sia finanziato in via assicurativa e sia strettamente collegato a politiche di formazione, di riqualificazione e reimpiego. Accanto a questo, proponiamo l’introduzione di un reddito minimo garantito, che contrasti la povertà anche tra chi lavora solo per brevi periodi di tempo o tra chi non ha un lavoro da molto tempo. Un istituto di welfare universale che esiste in quasi tutti i paesi europei e che costituisce il completamento degli istituti di tutela del reddito.Non si tratta, ovviamente, di togliere qualcosa a chi le tutele le ha. Si tratta di dare a chi non ha. Si tratta di costruire un percorso di inserimento nel mondo del lavoro che sia associato a un sistema di tutele e garanzie.Noi pensiamo a milioni di giovani, pensiamo alla loro vita, alle loro aspettative, alla loro frustrazione e alle loro speranze. Ieri c’era la mortificazione dei braccianti col cappello in mano, c’era l’alienazione della catena di montaggio. La precarietà senza futuro è il volto assunto oggi dallo sfruttamento. Il nostro riformismo non può chiudere gli occhi di fronte all’eterno susseguirsi di lavori precari che non conducono a nulla, di fronte all’inaccettabile prodursi di “vite di scarto”, condizione comune di milioni di persone. E’ questo il contesto nel quale si può cominciare a pensare e a discutere apertamente, e certo è chiara a tutti voi la radicalità di questa possibile innovazione, della sperimentazione di un contratto unico, a tempo indeterminato, con tutela crescente nel tempo e con un ben organizzato sistema di premi e penalizzazioni per l’azienda, volto a favorire il consolidamento e la stabilità dei rapporti di lavoro.Innovazione: di questo ha bisogno, come se fosse aria, il nostro Paese. Innovazione per costruire maggiore giustizia sociale.3 – Terza innovazione radicale: fare dell’ambiente, della lotta ai mutamenti climatici, delle politiche energetiche, una delle chiavi per uscire dalla crisi. Forse la prima delle chiavi. Lo ha capito Barack Obama, che ha annunciato, per rilanciare l’economia americana, un piano di 150 miliardi di dollari in risparmio energetico e fonti rinnovabili, per creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro.Una “rivoluzione verde”, una “terza fase” della rivoluzione industriale, che nasca da una nuova etica della responsabilità e che poggi, per quanto riguarda l’Italia, sulle straordinarie carte che il nostro Paese potrebbe giocare. La “rottamazione” del petrolio, la fine della dipendenza dai combustibili fossili, gli investimenti sulle fonti rinnovabili: questa è la strada.Il governo Berlusconi dimostra di non saperla e volerla prendere. Non comprende, proprio non comprende, che spendere, in campo ambientale, significa investire sul futuro. Ha distrutto, con un insieme di correttivi devastanti per i cittadini e per le imprese, gli incentivi al risparmio energetico per le abitazioni introdotti dal governo Prodi. Si è nascosto dietro alla comprensibile preoccupazione dei settori produttivi più esposti ai venti della crisi per cercare inutilmente di mascherare il suo ennesimo “euroscetticismo”: questa volta sugli obiettivi del 20-20-20 per le fonti rinnovabili, il taglio di emissioni di CO2 e l’efficienza energetica.Noi proponiamo che l’Italia imbocchi con decisione la strada dell’innovazione, della ricerca, della diffusione delle fonti rinnovabili. Si devono moltiplicare, e non eliminare, gli incentivi per le famiglie e per molti settori della nostra impresa che vogliono entrare o già si muovono in questo campo. Un campo vasto e fertile, che ha confini larghi. Penso ad esempio agli elettrodomestici, all’illuminotecnica, alla modernizzazione delle tecnologie per l’edilizia. Penso al settore dell’auto, e nel complesso a quanto si può fare per un eco-ricambio del parco circolante a livello di mezzi sia privati che pubblici.4 – Quarta sfida di innovazione: una radicale e condivisa riforma della scuola, dell’università e della ricerca.E’ bene che dal governo ci sia stato un netto passo indietro da parte del governo, anche grazie al nostro ruolo e alle migliori ragioni avanzate da un movimento civile che ha coinvolto genitori, ragazzi e insegnanti. I tagli però restano, mentre gli altri paesi europei proprio qui fanno grandi investimenti. E con i tagli restano la nostra preoccupazione e le nostre critiche. Insieme ad una consapevolezza che non ci ha mai abbandonato: scuola, università e ricerca non vanno bene così come sono, ma hanno appunto bisogno di innovazione.Nella scuola e nell’università è il cambiamento, e non la conservazione, la frontiera dei riformisti.Selezione e valutazione, questi sono i principi che ispirano le nostre proposte.Senza selezione e valutazione, senza merito, i migliori finiscono per risultare sempre gli stessi: quelli con famiglie facoltose alle spalle, quelli con i contatti giusti, e magari quelli disposti a qualche compromesso di troppo con la propria coscienza.C’è un muro di conservazione che va rotto, abbattuto. Proponiamo che l’Italia si doti di un sistema di valutazione, nazionale e standardizzato, dei livelli di apprendimento degli studenti di elementari, medie e superiori. Solo con un grande esame su scala nazionale, gestito da valutatori esterni alle scuole e corretto in modo centralizzato, si potrà poi perseguire efficacemente il duplice obiettivo di premiare i capaci e i meritevoli e di individuare gli studenti, gli insegnanti, le scuole in difficoltà, con lo scopo di aiutarli. Solo così si potrà valutare il contributo netto di ogni scuola e di ogni docente sui risultati degli studenti, tenendo conto della qualità in entrata e delle condizioni socio-economiche delle famiglie. E sulla base di obiettivi chiari e di una reale autonomia, sarà finalmente possibile indirizzare le risorse verso le realtà che lo meritano.L’autonomia è la condizione per dare fiducia ai giovani. E’ forse venuto il momento di discutere se non si debba investire con più coraggio sulla consapevolezza dei ragazzi di sedici anni, che devono poter partecipare con le loro scelte alla definizione del loro piano di studi. Noi dobbiamo, dentro gli ambiti formativi definiti, permettere che i giovani seguano le loro passioni e i loro interessi, responsabilizzandoli costantemente. Dobbiamo investire su di loro, avere cura e attenzione per il grande tema della condizione sociale e psicologica dei ragazzi italiani. E a questo proposito, è giunto il momento di riconoscere ai ragazzi di sedici anni il diritto di voto alle amministrative. Responsabilizzazione, questa è la chiave, perché oggi si smette di essere bambini e si diventa giovani molto prima di un tempo.Autonomia e valutazione, anche per l’università: proponiamo una valutazione periodica di università e dipartimenti, attraverso gruppi di esperti, anche internazionali, che giudichino la qualità della ricerca e delle pubblicazioni. Sulla base di queste valutazioni sarà assegnata ai migliori una parte cospicua delle risorse.Il ministro Gelmini, facendo anche qui un passo indietro, ha annunciato l’obiettivo di portare al 30%, nel medio periodo, la quota di finanziamento delle università pubbliche basata sulla valutazione della ricerca. Bene. Lo si faccia davvero e con rapidità, con criteri davvero rigorosi e in modo indipendente. Di più: lo si faccia privilegiando il migliore 25% dei dipartimenti di ogni settore disciplinare. E’ un circolo virtuoso, che si deve innescare. Premiare le migliori università porta le università a puntare sui migliori. E così, al di là delle regole che verranno scelte per i concorsi universitari, si potrà sperare di ridurre al minimo i problemi di localismo, clientelismo o nepotismo.5 – Quinta grande innovazione: mettere finalmente sui giusti binari le politiche per il Mezzogiorno.Le politiche del governo Berlusconi stanno letteralmente saccheggiando le risorse dedicate al Sud e puntano a riproporre, al posto della buona pratica degli incentivi automatici, l’intermediazione della politica locale e nazionale. Le cifre sono impressionanti: nel 2009, a fronte di 6 miliardi originariamente appostati nel Fondo per le Aree Sottoutilizzate, le effettive disponibilità sono state dimezzate per finanziare spese di parte corrente, che trovano i loro destinatari prevalentemente al centro-nord. E ancora prima era stato cancellato il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno.Ci vogliono risorse aggiuntive e ci vuole una coraggiosa battaglia per la legalità. Non si può lasciar solo quel vasto movimento di imprenditori, artigiani, commercianti del Sud che si battono contro il pizzo e le estorsioni delle mafie e hanno bisogno di buona politica come dell’aria da respirare. Della politica che dà certezze e non dispensa favori.Due, per noi, sono le strade da seguire per battere l’ideologia della dipendenza e promuovere la cultura della legalità e l’etica della responsabilità, senza le quali il Mezzogiorno non potrà mai diventare quella risorsa per il Paese e innanzi tutto per se stesso che oggi non riesce ad essere. Proponiamo di concentrare i fondi destinati al Mezzogiorno su pochi grandi obiettivi di carattere infrastrutturale e sovraregionale, a cominciare dalla mobilità e dalle grandi reti idriche. Proponiamo di prevedere una sorta di “vincolo esterno” nazionale, che promuova l’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche ordinarie, per una progressiva qualificazione dei servizi pubblici e una progressiva riduzione delle spese di autorganizzazione della pubblica amministrazione.E’ esattamente per questi motivi che il Mezzogiorno non deve temere l’ondata di responsabilità derivante da un federalismo ben pensato: fondato sui criteri di vera autonomia impositiva, solidarietà collettiva e non bilaterale, riferimento ai costi standard e non ai costi storici. Ed è proprio in nome dell’interesse del Mezzogiorno e non solo delle legittime aspirazioni delle aree forti del Nord, che abbiamo deciso di presentare in Senato un nostro organico disegno di legge sull’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e di aprire, a partire da esso, un confronto serrato con la maggioranza.Del capitolo riforme discuteremo approfonditamente nella Conferenza programmatica di marzo e prima ancora nel convegno su Piero Calamandrei che terremo a febbraio. Cominciamo qui da almeno due tracce di riforma. Primo: la riduzione dei costi della politica. La politica deve costare di meno. Costano troppo le campagne elettorali, costano troppo gli apparati istituzionali, costa troppo il personale politico. Costa troppo il sistema delle imprese pubbliche, a cavallo tra politica ed economia, sia a livello nazionale, sia soprattutto a livello regionale e locale. Su questo siamo pronti a un confronto trasparente e di merito col Governo, al quale chiediamo, se ne è capace, di uscire dall'attuale, colpevole inerzia. Noi siamo favorevoli a interventi incisivi: da una significativa riduzione del numero dei parlamentari, alla trasformazione del Senato in sede del confronto sulle decisioni legislative che attengono all’equilibrio tra istituzioni centrali e autonomie regionali. Fino all’abolizione dei consigli d’amministrazione nelle società pubbliche che gestiscono i servizi locali e alla loro sostituzione con amministratori unici e collegi di revisori.Secondo: il nodo delle leggi elettorali, che non si può considerare risolto solo in virtù delle scelte adottate dal Partito democratico nelle elezioni di aprile. Con le leggi attuali, il ritorno a un sistema frammentato è sempre dietro l’angolo. Ed è evidente che il livello di sfiducia dei cittadini verso la politica è destinato a crescere se si insiste sulla strada dei listoni bloccati.Dal nostro punto di vista, le preferenze non sono la soluzione ideale, anche se è preferibile che siano mantenute laddove, come per le elezioni europee, altre soluzioni sono di fatto precluse. In tema di europee, continuo a pensare che si debba trovare un equilibrio nel senso della difesa delle preferenze e dell’introduzione di una soglia di sbarramento per evitare la frammentazione. La strada maestra, almeno per quanto riguarda l’elezione del Parlamento, è comunque il ritorno al collegio uninominale, nel quadro di un sistema che, come avviene nell’esperienza francese, spinga ad aggregazioni tra forze omogenee e consenta agli elettori di scegliere da chi vogliono essere governati.Non abbiamo preclusioni di principio, qualora si dovesse realmente avviare una discussione nel merito, alla luce del sole, per migliorare la legge vigente, a prendere in esame soluzioni subordinate. Dovrebbe tuttavia trattarsi di subordinate che abbiano virtù simili alla principale, che cioè consentano ai cittadini al tempo stesso di scegliere i candidati al Parlamento e di decidere la maggioranza di governo.Continuiamo a ritenere che la legge elettorale attualmente in vigore per il Parlamento sia una mostruosità da superare ed anche in questo caso dobbiamo sfidare la destra sul terreno dell’innovazione.Il Paese deve poter uscire da una eterna e logorante campagna elettorale. Può servire anche un’altra radicale innovazione: una sola tornata elettorale amministrativa, comuni, province e regioni insieme. Magari a metà legislatura, una sorta di elezioni di mid-term.Per quanto riguarda la riforma della giustizia, quello che sta accadendo con le inchieste della magistratura sulla politica, lo ripeto, non fa cambiare la nostra posizione, né in un senso né nell’altro. Il ministro ombra Tenaglia ha presentato al governo un pacchetto di proposte elaborato nel corso di una riuscita conferenza nazionale del PD.Sono proposte ispirate ad una maggiore efficienza della macchina processuale, soprattutto nei confronti dei cittadini e delle imprese. Proposte concrete e innovative. Penso solo al problema della lentezza della giustizia. Abbiamo detto: valutazione sistematica, benchmark, responsabilità. Quanto guadagnerebbe, in civiltà e in crescita economica, il nostro sistema economico e sociale, se tutti ti tribunali d’Italia funzionassero coi tempi del Tribunale di Torino? Se si è riusciti a Torino, perché non si può riuscire altrove?Proposte concrete e innovative. Come quando in campagna elettorale presentammo una proposta sulle intercettazioni telefoniche che prevedeva che i magistrati possano avvalersi delle intercettazioni per tutti i reati ma che nulla di questo possa finire sui giornali, violando fondamentali diritti. E questa proposta, lo voglio ricordare, fu allora sottoscritta anche dall’Italia dei Valori. Insieme al merito delle questioni, abbiamo indicato una metodologia innovativa: le riforme della giustizia non si fanno contro i magistrati, come vorrebbe il governo, o contro gli avvocati. Si fanno ascoltando, si fanno con un confronto di merito, basato non su dei pregiudiziali sì o no, ma su soluzioni concrete. Se si riuniscono le parti sociali per discutere delle pensioni, non si vede perché non debbano essere coinvolti i protagonisti di un settore fondamentale come la giustizia quando è della sua riforma che si deve decidere. Un tavolo che duri sessanta giorni, al termine del quale il governo decida, ma dopo aver lavorato insieme al mondo della giustizia e se lo riterrà anche con l’opposizione. E’ la nostra proposta, che si muove nel solco tracciato dal Presidente Napolitano che noi vogliamo seguire: distinzione tra governo e opposizione nel confronto politico, e ricerca della possibile convergenza sui grandi temi di interesse nazionale. L’innovazione politica e programmatica è una condizione necessaria per modificare in profondità i rapporti politici nella società italiana e corrispondere alla nostra vocazione maggioritaria. Ma non è condizione di per sé sufficiente.Le idee migliori appariranno scritte sull’acqua, se non potranno disporre di un soggetto politico collettivo in grado di dar loro gambe per camminare nella società, nella politica, nelle istituzioni.Anzi, quanto più ambiziosa è la portata innovativa del nostro programma, tanto più diventa cruciale la capacità del partito di rappresentare, suscitare, organizzare attorno ad essa un consenso largo nella società, attraverso la forza della sua organizzazione, la credibilità dei suoi gruppi dirigenti, lo spessore democratico della sua vita interna.Un partito affidabile è un’organizzazione abitata e guidata da persone credibili, che ispirano fiducia: per la loro trasparenza e onestà, per la sobrietà del loro stile di vita, per la loro competenza, per il loro impegno appassionato.La credibilità morale di un partito è un bene inestimabile, che è facilissimo perdere e faticosissimo riconquistare. Dar vita ad un partito nuovo non è facile, non è mai stato facile, tanto meno quando si tratta di unire forze diverse. Ma oggi siamo ad un passaggio critico, che può essere decisivo per il Partito Democratico.L’urgenza immediata, in questo momento, è quella di recuperare fiducia, la fiducia dei nostri elettori nei riguardi del Partito Democratico. Cominciamo con l’applicare con ferma intransigenza il nostro Codice etico, che prevede un robusto elenco di incompatibilità, di conflitti d’interesse, di garanzie, che possono anche essere rafforzate, prevedendo ad esempio la non candidabilità di persone che, a giudizio di una magistratura interna, abbiano compiuto atti che pur non essendo penalmente rilevanti, recano pregiudizio alla credibilità morale del partito.Un’altra buona regola è quella del ricambio dei gruppi dirigenti, che deve essere frequente e continuo. Oggi è una vera e propria urgenza. Se vogliamo consolidare il PD, dobbiamo lavorare in modo impegnato, corale e convinto, per creare le condizioni per un forte avvicendamento con una nuova generazione di dirigenti.Il successo delle nostre iniziative di formazione politica, a cominciare dalla scuola estiva di Cortona, che ha visto la partecipazione impegnata ed entusiasta di mille ragazze e ragazzi, sta generando non solo un sistema di formazione diffuso, quale non si ricordava da decenni nella politica italiana, ma un vero e proprio movimento di rinnovamento culturale e anche generazionale del partito, fondato non più sull’incontro tra ex, ma sul comune riconoscersi come “democratici”. Ho chiesto a Giorgio Tonini e ad Annamaria Parente di organizzare una scuola di formazione nel Mezzogiorno, per una nuova leva di amministratori, per i giovani, che abbia al centro i temi della legalità. E ho chiesto a Roberto Saviano, che ha accettato, di prendere parte a questo nostro progetto. Sono segni di speranza, che dobbiamo incoraggiare. E dai quali dobbiamo attingere energie. Il malcostume e la degenerazione politica sono stati alimentati in questi anni più per la debolezza dei partiti che per la loro forza. Un Partito democratico forte, perché radicato, aperto, unito è la via maestra per far prevalere la buona politica.Un partito forte è un organismo vivo, profondamente radicato nel territorio, capace di rappresentarne gli interessi e di viverne i valori. Un partito che sta dove vive la gente: negli ambienti di vita, di studio, di lavoro, come nel mondo virtuale della rete, oggi diventato abitazione principale delle giovani generazioni.E’ questo l’obiettivo che non siamo ancora riusciti a raggiungere. Lo sento come un limite del mio e del nostro lavoro, da superare insieme. Alle insufficienze dei partiti preesistenti non siamo ancora riusciti a sostituire un modello compiuto e convincente. Deve essere considerata una priorità del nostro impegno comune.Un partito di circoli, fatti di persone in carne e ossa, che si incontrano per aiutarsi a capire la realtà in cui sono immersi, da quella globale a quella locale, e per lavorare insieme a cambiarla, a migliorarla, a riformarla.I circoli devono diventare il lievito democratico e civile dei territori: un fermento che fa crescere intorno a sé una moderna cultura della cittadinanza, della responsabilità e della partecipazione civile, dell’impegno per i diritti e per l’uguaglianza sociale. E i segretari di circolo hanno una funzione essenziale, che va riconosciuta e promossa: sono gli animatori della democrazia di base, una risorsa straordinaria di presenza, di promozione del partito, di coltivazione civile della società.Dobbiamo dedicare più impegno, più risorse, più attenzione alla promozione dei circoli, se vogliamo che il Partito Democratico cresca, si rafforzi, si radichi nel Paese.Voglio dirlo con forza: è il territorio la frontiera sulla quale si costruirà il nuovo PD. Penso che dal territorio, dai segretari regionali e dai sindaci, possa venire un utile apporto permanente alle decisioni che il gruppo dirigente nazionale dovrà prendere. Si tratta di aprire una fase nuova e darsi strumenti di direzione all’altezza dei problemi che dobbiamo affrontare.Un partito affidabile è un’organizzazione forte e unita, in grado di prendere decisioni impegnative per tutti coloro che ne fanno parte, a cominciare dai dirigenti; di darsi una linea chiara e di portarla avanti con unità d’intenti, spirito di squadra, solidarietà, quando necessario anche rinunciando a quelle quotidiane differenziazioni che piacciono ai giornali e dispiacciono alla nostra gente.E’ impressionante vedere, dai sondaggi, come ci fosse stato, a partire dalle feste, alle quali hanno partecipato sette milioni di persone, per continuare con la Summer School e la straordinaria manifestazione del 25 ottobre, con le elezioni Trentino e in Alto Adige, un forte recupero di consensi del PD, tornato ai livelli del risultato elettorale. Dal caso Villari in poi, prima le divisioni interne e poi le vicende di questi giorni hanno fatto ridiscendere quella curva che stava salendo.L’opinione pubblica moderna vuole partiti uniti e forti, talvolta è perfino disinteressata dalla qualità della loro vita democratica. Noi dobbiamo saper affermare, tra il cesarismo e l’anarchia, il modello di un partito democratico, con una leadership decisa dagli elettori, capace di vivere con un reale pluralismo interno, che a noi certo non manca, e con una solidarietà umana e politica che è un dovere per tutti noi. A cominciare da me. C’è un disagio diffuso, tra i nostri iscritti, i nostri militanti, riguardo alla nostra unità interna. La sgradevole sensazione che provano è che stiamo rischiando seriamente di diventare come l’Unione: la difficile convivenza di punti di vista diversi, che finiscono per paralizzarsi a vicenda. Quel segare l’albero sul quale tutti si è seduti, che è stato il terribile male del centrosinistra in tutti questi anni.La responsabilità di promuovere l’unità interna spetta, certamente, innanzi tutto a chi esercita la leadership. Ma deve vedere la collaborazione, altrettanto responsabile, da parte di ciascuno di noi.L’unità interna non può e non deve essere compressione della discussione o mortificazione delle diversità. Ma c’è un tempo per la discussione e uno per la decisione. La discussione deve essere libera, chiara, aperta. La decisione deve essere democratica e poi impegnativa per tutti. Solo così può funzionare un partito democratico.Vale per i partiti lo stesso principio che vale per le istituzioni. Se si dimostrano incapaci di decisione nella democrazia, vinceranno modelli di decisione senza la democrazia.Per essere all’altezza della sfida sulla democrazia che è drammaticamente aperta nel nostro Paese, noi abbiamo deciso di costruire un partito nuovo, quale quello delineato in modo netto e coraggioso dal nostro Statuto, che abbiamo appena scritto e che ora dobbiamo attuare e applicare con fermezza e decisione.Un partito che riconosce e attribuisce alle persone, nella loro responsabilità individuale, una vera cittadinanza democratica, la possibilità di esercitare un potere, di partecipare alla decisione. Un partito che riconosce ai suoi elettori un ruolo importante nelle decisioni da prendere, in modo da ridurre al minimo il rischio della chiusura autoreferenziale.E ai suoi iscritti il ruolo di ossatura portante di una presenza stabile nella società, una presenza che si possa incontrare quotidianamente sul territorio e negli ambienti di vita e di lavoro, una presenza che sappia farsi, a confronto con la società, proposta aperta, da avanzare alla platea più vasta dei nostri elettori.Insieme, dobbiamo costruire un’organizzazione aperta, abitabile, nella quale si possa incontrarsi, discutere, confrontarsi, partecipare alle decisioni. Una organizzazione nella quale gli incarichi di responsabilità siano attribuiti in modo competitivo e restino sempre contendibili.Il PD è oggi l’unico, vero, grande laboratorio sperimentale di democrazia di partito esistente in Italia. Quando si sperimenta si va incontro a limiti ed errori e si scoprono nuovi problemi. Ma è solo così che si impara, si migliora, si progredisce.In queste settimane, stiamo sperimentando la più vasta e capillare tornata di elezioni primarie per la selezione di candidati sindaci e presidenti di provincia che si sia mai vista nella storia d’Italia. Molte si sono rivelate quello che speravamo: una straordinaria pagina di vita democratica. Altre hanno messo in luce difficoltà e nodi critici, che andranno sciolti per il futuro da una riflessione comune.Bisognerà riflettere meglio, ad esempio, sul rapporto tra primarie di partito e primarie di coalizione. Sull’opportunità, probabilmente discutibile, di primarie per le candidature in liste con le preferenze. Così come sulle primarie per le cariche di partito. Le primarie sono uno strumento prezioso, una scommessa irrinunciabile. Non devono diventare un’ideologia. Soprattutto, non devono diventare l’occupazione principale, se non esclusiva, del partito. Sarebbe tragico se il PD si riducesse ad un luogo nel quale si discute solo di regole di vita interna.Il Paese ci chiede di sperimentare democrazia, non di trasformarci in una macchina di produzione di procedure interne. Un partito a vocazione maggioritaria, un partito che voglia cambiare i rapporti di forza nella società, deve essere un partito utile alle persone, non solo a se stesso. Siamo all’inizio di un percorso che vogliamo diventi costume democratico del Paese. Possiamo perdonarci qualche errore. Attorno a noi nessuno sbaglia, perché nessuno sperimenta democrazia. E il paradosso è che i media spesso si accaniscono sui nostri limiti, mentre nessuno parla dell’assoluta mancanza di democrazia negli altri partiti.A noi si rimprovera di fare primarie finte, quando c’è una leadership naturale. O al contrario di mettere in scena primarie-rissa, quando il risultato è aperto. Sarebbe già un piccolo passo avanti, se ci criticassero da un solo angolo visuale. Sarebbe un grande passo avanti, se qualcuno aprisse almeno un occhio sulla totale mancanza di democrazia di partito attorno a noi.Il nostro principale avversario, il “Popolo della libertà”, come dice il nome stesso, è una formazione politica tipicamente “populista”: l’unica democrazia che conosce è quella dell’applauso al leader. Un applauso ha accolto l’annuncio, a San Babila, dal predellino di un auto, che nasceva il Pdl. Un applauso ha segnato lo scioglimento di Forza Italia: una formazione politica che in quattordici anni di vita non ha mai tenuto un vero Congresso, non ha mai votato i suoi dirigenti.D’altra parte, qualcuno ha mai visto la Lega, o l’Italia dei Valori, fare un vero Congresso? O designare i suoi candidati con le primarie? Il modello populista è la regola della politica italiana, noi siamo la sola eccezione. Berlusconi ha definito il Pdl un baluardo della democrazia. Ma come può difendere, promuovere la democrazia un partito che non la pratica, non la vive al suo interno? Non è un caso se un giorno si e un giorno no gli scappa detto qualcosa che poi deve correggere, smussare, smentire, ma che in effetti tradisce il suo vero pensiero: come sarebbe bello se la Repubblica funzionasse come il Pdl, un uomo solo al comando, nelle sue mani tutti i poteri e tutto il potere – politico, economico, mediatico – niente contropoteri, niente parlamenti con le loro lentezze, niente opposizioni con le loro critiche depressive, niente magistrature indipendenti, niente libera stampa e giornalisti scomodi.E’ proprio la cupa potenza del populismo, di ogni populismo, di maggioranza e di opposizione, a definire la grandezza della sfida che abbiamo posto a noi stessi: scommettere sulla forza della democrazia, sulla chance del riformismo, sulla sua capacità di prevalere, anche in questo nostro Paese. Già le sento le dichiarazioni indignate di qualche esponente della destra. Tra qualche minuto ci risponderanno che non è vero, che il nostro è il solito antiberlusconismo ideologico. Rispondano, se credono, anche alla sfida che da qui vogliamo lanciare ai nostri avversari.E’ ora e tempo che si fissino per legge gli architravi della democrazia di partito, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione: statuti, bilanci, scadenze e modalità dei congressi, codici etici, primarie o altre procedure per la selezione dei candidati. E queste norme diventino condizione almeno per l’accesso al finanziamento pubblico. Noi siamo pronti a fare insieme questa riforma decisiva per la democrazia italiana.Il partito che siamo e vogliamo essere è un partito pluralista, fondato sul confronto delle idee e ricco di fondazioni, associazioni, centri di ricerca. Non dobbiamo, non vogliamo diventare invece un partito a canne d’organo, con catene di comando verticalizzate e correnti cristallizzate.Non esistono in democrazia grandi partiti che non siano pluralisti, sul piano politico e culturale. Ma il confine tra pluralismo, che è un valore di libertà, e degenerazione correntizia, che è invece una malattia mortale, va presidiato con grande attenzione.Vorrei che tutti lavorassimo per evitare, contrastare, limitare i rischi insiti nel correntismo: il prolungamento, nel nuovo partito, delle appartenenze e identità del passato, saltando l’esigenza e l’opportunità di mescolare le storie e di dar vita a nuove sintesi culturali e politiche; la riduzione del partito ad una federazione leggera di correnti rigide, strutturate organizzativamente; la riduzione della democrazia interna ad una spartizione correntizia, con la logica conseguenza che la solidarietà verticale con la corrente diventa l’unica via di partecipazione e di affermazione nella vita del partito.Dopo un anno di lavoro, inevitabilmente il modello di un partito nuovo deve essere oggetto di una riflessione sulla base dell’esperienza. Ci sono nodi che dobbiamo affrontare, in modo sereno, ma rigoroso e severo. Sul piano politico e anche sul piano statutario: mettendo al lavoro un gruppo, in seno alla Direzione, che avanzi proposte, da portare in Assemblea, sulle primarie e sul rapporto tra democrazia degli iscritti e democrazia degli elettori, sul rapporto tra pluralismo politico interno e unità del partito, sul ricambio dei gruppi dirigenti, e sul rapporto tra partito federale e poteri sostitutivi centrali. Dopo averne discusso con il Coordinamento e con i segretari regionali, chiedo che in questa fase particolare venga attribuito al Segretario il potere previsto dallo Statuto di intervenire in situazioni nelle quali sia necessario introdurre, anche attraverso commissariamenti, le indispensabili innovazioni.I prossimi mesi e il prossimo Congresso, che svolgeremo dopo le elezioni, saranno l’occasione per l’affermazione definitiva di una nuova generazione di dirigenti alla guida del partito. Dobbiamo far emergere le forze migliori, più coraggiose e innovative. Forze che abbiano dentro di sé l’identità democratica già compiuta.Per quanto mi riguarda, posso dire solo una cosa. Considero mio compito quello di riuscire nella realizzazione dell’impresa politica che ha costituito il sogno e la ragione del mio impegno: far nascere e radicare in Italia un grande partito riformista di massa, una forza democratica del nostro tempo. Sono al servizio di questo progetto, non il contrario.Abbiamo fondato il Partito Democratico nel fuoco di una tremenda battaglia politica. Un’operazione tanto più difficile da portare a termine nel pieno della crisi dell’Unione di centrosinistra, con una campagna elettorale anticipata, già molto segnata nel suo risultato finale.E’ la prima volta, nella storia d’Italia, che si dà vita ad un nuovo partito attraverso l’incontro di due forze politiche radicate nella storia del Paese. Stiamo realizzando il sogno di dar vita ad una casa comune di tutti i riformisti, ad un grande Partito Democratico. Dobbiamo essere tutti consapevoli del valore di questa nostra impresa e tutti insieme dobbiamo averne cura, dando prova di saggezza, generosità e responsabilità.A fronte dei pericoli presenti per il Paese, noi abbiamo oggi nelle nostre mani la possibilità e il dovere di sperimentare vie nuove, risposte utili e inedite, non solo per noi stessi, ma per la democrazia italiana. Perché non possiamo pensare la nostra forma-partito, se non nel quadro di questa fase drammatica della vita istituzionale e democratica della Repubblica.I vecchi partiti, in tutta una fase della storia italiana dopo la Liberazione, sono stati grandi costruttori di democrazia. Lo hanno fatto promuovendo, incivilendo, organizzando immensi ceti popolari ed anche plebi ignoranti ed escluse.Poi, dinanzi alla società nuova, più ricca, colta, emancipata, adulta, la società che è comparsa sulla scena nel ’68 e nel ‘69, i partiti storici, da elementi propulsori di sviluppo e di progresso, hanno cominciato a diventare e ad apparire “intercapedini” tra le istituzioni e i cittadini. Fu Aldo Moro il primo ad accorgersene, proprio nel ’68, quaranta anni fa, dieci prima della sua tragica e barbara uccisione: “Tempi nuovi s’annunciano”, aveva detto in un celebre discorso al suo partito. Tempi nei quali dovremo avere il coraggio di cambiare noi stessi, se vorremo essere ancora all’altezza del nostro compito. Ma i partiti italiani non furono in grado di cambiare se stessi, prigionieri com’erano di una contraddizione troppo grande, tra le ideologie che li dividevano, ricalcate sullo schema della guerra fredda, e i nuovi termini della questione italiana, che li avrebbe dovuti scomporre e ricomporre, lungo nuove frontiere. I partiti della Prima Repubblica entrarono così in una crisi irreversibile. Alcuni distruggendosi nel dilagare del malaffare, alla disperata ricerca di puntelli di potere, dopo che avevano avvertito come perduta la loro legittimazione storica. Altri estenuandosi in una infinita e sempre troppo lenta transizione.Dalla crisi dei vecchi partiti, dal 1992 in poi, il centrosinistra non ha mai più davvero tentato la costruzione di soggetti politici veramente nuovi. Da allora, ci siamo affidati prima al riformismo istituzionale, per ridefinire modi e forme della rappresentanza politica.Poi ci siamo affidati all’azione di governo, nazionale ma anche locale, per interpretare e cambiare gli orientamenti della società. Una sorta di “riformismo dall’alto”, come lo abbiamo definito autocriticamente, fragile perché non supportato da un consenso vasto, preparato negli anni dell’opposizione, spesi invece prevalentemente nella costruzione di larghe alleanze “contro” gli avversari. Nel frattempo sono nati e hanno dignitosamente vissuto soggetti politici sostanzialmente tradizionali, buoni ad accompagnare il lavoro istituzionale, ma che tutti insieme abbiamo giudicato insufficienti, inadeguati al compito di suscitare una nuova fase di riformismo e di democrazia.Oggi la sfida è quella di riprendere un percorso innovativo, da decenni interrotto. E non abbiamo molto tempo. Dando vita al Partito Democratico, abbiamo alimentato grandi aspettative, abbiamo suscitato una speranza nuova. Ora, abbiamo il dovere di non deludere.